per cortesia se utilizzate alcuni spunti di questo articolo citate la fonte cosi che non si faccia passare agli autori la voglia di scrivere.
Negli ultimi anni sempre più numerosi gli episodi di violenza sociale che i media mettono in evidenza. La caratteristica di questi episodi e del fenomeno in generale è che:
In sintesi gli aspetti di problematicità “generalizzabile”sono:
Da ciò ne consegue che (la storia insegna)
La distanza dalla realtà contingente, l’esaltazione narcisistica, la regolamentazione avulsa dalla realtà e le risposte sostanzialmente autoritarie, anche se presentate in modo scenico, in modo accettabile e gradevole, portano a una generalizzazione della violenza sociale come avvenne con il fascismo ed il nazismo.
L’unico modo per rendere reversibile questo processo è:
Non avere paura della realtà convivere amorevolmente con essa eliminando le forme di violenza sul nascere.
Valorizzare chi è portatore di contenuti, di capacità cognitive complesse e capace di identificare principi astratti assoluti.
Depotenziare chi è portatore di semplificazioni, falsificazioni, imposizioni regolamentative autoritarie e improvvisate.
Farsi una propria personalità basandosi su principi etici complessi, distinta dai modelli omologanti consumistici.
(*) Essendo un fenomeno sociale in cui gli episodi di violenza estrema sono distribuiti a macchia di leopardo, in modo ricorrente con notevoli similitudini fra loro, è evidente che non si tratta di episodi occasionali ma di “sintomi apicali” di un sistema/discultura sociale diffuso che li predispone e che ha carattere deterministico. La causa di tanto azzeramento empatico non deriva da “un addestramento tipo militare” ma da un “addestramento mediatico” è li che andrebbero riconosciuti i motivi, anche avessero la sola finalità di attrarre l’attenzione di più individui per soli scopi commerciali (certa morbosità attentava per eventuali stimoli disempatici) con relativa complicità politica per questioni di produzione e acquisto di beni (tasse) questo non può essere prioritario rispetto l’equilibrio psichico e la sicurezza sociale.
Questo è l’ennesimo travisamento della teoria psicoanalitica, come primo punto S. Freud era molto esigente con i suoi studenti riguardo il rispetto di un setting psicoanalitico neutrale che certamente non era un palcoscenico collettivo che si mostra a un pubblico, ma il contrario è soggettivo individuale privato e neutrale, lo psicoanalista non incoraggia nessun comportamento tanto meno sanguinario e violento.
Sempre secondo Freud l’unico strumento per entrare in contatto con il proprio sub conscio è il sogno e non un agire sadico e sanguinario collettivamente condiviso.
In Totem e tabu, vero Freud fa alcune considerazioni di tipo antropologico sui riti religiosi ma fa riferimento a tradizioni rituali culturali secolari e non a invenzioni rituali di un artista presumibilmente istrionico.
Per quanto riguarda la pulsione di cui parla Freud (libido, di difficile traduzione) essa è una spinta verso la soddisfazione di un desiderio, istintuale ma di fondo con base orientata alla vita cioè o procreativo (sessualità) o auto conservativo (cibo territorialità) Freud ha definito sadismo la pulsione che prende la via patologica della distruttività gratuita, senza una finalità auto conservativa o conservativa specie specifica.
Per concludere va detto che nulla di psicoanalitico o psicologico c’è in queste manifestazioni teatrali o cosi dette artistiche.
“l’immagine ritrae uno spezzone teatrale di una “artista macellaio” di cui si dice che:
” cerca di insinuarsi nel subconscio del singolo colpendolo con immagini di animali sanguinanti e sacrificati in croce, ebbrezza, nudità e sangue. In questi giochi rituali, che durano diversi giorni, si incitano gruppi di persone a squartare bestie da soma, a tirarne fuori le viscere e a calpestarle, a imbrattare di sangue delle persone crocifisse e a unirsi in un rito collettivo di frenesia, basato su riti liturgici e sacri. Questi gesti portano il singolo ad entrare in contatto con il proprio essere animale più profondo e istintivo, e quindi a toccare gli ambiti più bui e nascosti del proprio essere, che sono normalmente repressi dalla società umana. I partecipanti all’opera di Nitsch vengono costretti a vivere con una presa di coscienza questa totale disinibizione degli impulsi animali, e con questo anche la nostra innata potenzialità e tendenza alla violenza e alla distruzione. La decadenza radicale verso la sensualità ha come risultato una reazione catartica e purificatoria, e quindi l’ascesa alla spiritualità.https://it.wikipedia.org/wiki/Hermann_Nitsch
L’architettura razionalista, che molto si è diffusa nel ventesimo secolo, oggi con le sue ortogonalità pesanti e imponenti, sventra la struttura ecologica, fatta di sfere e spirali collegate fra loro in un complesso micro e macro sistema.
La forma esteriore che possiamo ricostruire con il nostro sistema sensoriale, in natura non è mai ortogonale e nemmeno matematica, basta pensare all’anno solare e alla necessità di inventare un anno bisestile per sistemare l’errata suddivisione del tempo in giorni, ore, minuti. Oppure basta pensare a come cresce la vegetazione sempre in modo circolare, nonostante si voglia trasformare in pali gli alberi con le cosi dette “potature necessarie”.
L’unico andamento lineare che troviamo in natura è quello del predatore sulla preda, e già questo ci può far immaginare l’atteggiamento inconscio dell’uomo occidentale e dell’architettura razionalista contro la natura, che si risolve fra predazione e separazione da essa attraverso costruzioni architettoniche che si impongono su parallelismi, ortogonalità, mai esistenti in natura, quasi a voler distinguere l’arrogante antropocentrismo costruttivo, dalla, come tale percepita, inutilità o dannosità della natura.
Ci sarebbe da chiedersi se tutto questo non sia alquanto insano, se non fosse per l’elevata diffusione che ha, sia nella cultura occidentale che ora in quanto copiato anche nelle culture non occidentali.
Nel razionalismo architettonico il cromatismo viene semplificato in modo infantile, pochi e distinti colori stesi su ampie superfici in modo uniforme, semplificando al minimo anche i volumi architettonici e le geometrie urbane che li incorniciano, ed è cosi che il razionalismo architettonico di Souto de Moura, si pone trovando apprezzamento in una città come Mantova, dove vengono ultimamente eliminati centinaia di alberi ogni anno, forse perché nella più percepibile linearità desertica della linea di terra… l’inquieto riesca a calmare le sue paure.
Ma un antico detto popolare dice “chi male non fare paura non avere”…. e allora c’è da pensare che invece di imporre tanto razionalismo architettonico non sia meglio modificare il proprio atteggiamento, rendendolo meno predatorio (lineare) e violentemente distruttivo verso tutto ciò che non gli assomiglia in primis la natura.
Naturalmente l’ipocrisia del boschi verticali, o di certo vasame urbanistico che contenga deboli fuscelli arborei, non ci convince, se non per il fatto che si voglia umiliare la bellezza della natura per imporre tanta bruttezza di forme banali e infantili come quelle razionalistiche di edifici, con annessi urbani altrettanto disagevoli quanto sradicati dalla storia e dal rispetto di essa.
Proseguo con i miei articoli critici sull’architettura, come premessa a una propositività che ha trovato il chiasso di un trattore, nel campo di una università, che altro non poteva fare che coprire il suono di un violino che incautamente si era messo a suonare senza rendersi conto del contesto in cui era capitato.
Per quanto sia possibile definire con la limitatezza dei nostri sensi, il tangibile che ci circonda, senza ombra di dubbio esso appare come un insieme di spirali perfettamente in armonia fra loro che pulsano entropicamente in un alternarsi contrattivo e dilatativo, come se un cuore universale segnasse il passo di questa energia che ovunque si propaga e ritorna definendo identità e movimenti.
Basta osservare le forme degli alberi che spontaneamente crescono senza subire la violenza di potature, il movimento delle onde del mare alimentate da venti le cui direzioni non sono mai ortogonali, oppure anche microscopicamente l’evolversi della crescita cellulare dal concepimento in poi.
In questo contesto di dinamiche spirali ellissoidee con l’ottusità tipica del tecnicoche impone i propri modelli assiali, la realtà fenomenica viene sventrata da forme cubiche e rettilinee, di strade, edifici, che stocasticamente si impongono su un territorio in modo avulso da ogni rapporto con la vita e la biologia, mentre al proprio interno costruttivo, impongono sistemi ipercontrollati di dettagli semplificati in poche variabili, i tre assi cartesiani.
Inadattate per scelta, dissonanti al contesto vitale di boschi, montagne, mari, fiumi esse si impongono come un modello di mortein cui l’elevata temperatura cui sono stati sottoposti i materiali costruttivi, non permetta per diversi decenni alcuna possibilità vitale.
In questa desertificazione abitativa l’uomo occidentale è costretto a vivere, mentre sviluppa fobie verso qualsiasi cosa che abbia vita, e un autonomia propria: la biologia, la quale come uno specchio fa sentire la propria protesta, con crescite disorganizzate di cellule, i tumori, ormai sempre più diffusi non solo negli uomini ma anche in piante e animali.
Forse la biologia aveva una traccia: il suono del canto degli uccelli, che vengono uccisi da cacciatori che si prodigano per una sempre più estesa cacofonia dell’ecosistema.
In questo contesto come una divinità mortifera, si impone la violenza ortogonale dell’architetto, e dell’urbanista, sventrando paesaggi, livellando ogni cosa in modo che tutto appaia semplice, comprensibile anche a un idiota.
In questo deserto costruttivo fatto come un insieme di granellini di materia morta: la sabbia, l’architetto “thaniatiano” in un estasi orgasmica progetta contenitori perfettamente cubici, possibilmente di soli due colori il bianco e il nero, come la scacchiera, sopra cui svolgere il gioco, gioco in cui l’architetto non si rende conto che sta giocando con se stesso e non con quella natura che vorrebbe trasformare, la banalità del male (thanatos) si specchia in un gioco che è destinato ad auto-estinguersi, per quanto l’architetto inventi vasi cubici per far stare alberi senza radici, destinati a morire a breve, i loro semi eternamente viaggeranno nel vento e si poseranno nel momento giusto al posto giusto, il grande architetto: Dio vince sempre, mentre il sole scioglie le ali di cera di cui sono fatte le idee di certi architetti, boriosi, intransigenti, ottusi e ignoranti.
Sempre più spinti verso l’innovazione, l’università mantovana applica non solo il famosissimo metodo costruttivista delle mappe concettuali ideato negli anni ’70 del secolo scorso (http://www.studiopsicologiamantova.it/wp/2019/02/01/il-metodo-psico-cognitivo-dei-giovani-architetti-le-mappe-concettuali/) ma anche il metodo utilizzato dalle insegnanti delle scuole elementari: l’apprendimento emotivo-motivazionale.
Concetto elaborato in termini di “ostatività” nell’apprendimento di nuove informazioni la dove esistono sistemi coercitivi e rigidi, quindi partito dall’evidenza che dove ci sono emozioni negative il numero di nuove nozioni apprese diminuisce rispetto al numero di nozioni apprese in ambienti dove l’insorgere di emozioni negative non viene favorito (x esempio un eccesso di disciplina scolastica).
Gli psicologi e i pedagogisti che per primi evidenziarono questa relazione nell’apprendimento dei bambini non hanno mai detto che l’apprendimento debba essere solo emotivo, che l’apprendimento emotivo debba proseguire in età adulta (università) e che l’apprendimento emotivo debba omogenizzarsi fra tutti gli studenti in una sorta di apprendimento cooperativo, in cui ogni disputa dialettica è vista come conflitto da eliminare, ogni atteggiamento critico una pesantezza da emarginare il tutto in una sorta di infantilizzazione collettiva di quei giovani che diventeranno i nuovi professionisti.
A questo tipo di giovani studenti non è difficile far passare un desiderio (la scimmia che vede mangiare la banana) per empatia (sto parlando della teoria sui neuroni a specchio tanto propagandata dall’università di Parma) , una quota altimetrica di 7 metri come se fosse in realtà 15 metri, e tutti se la bevono, un idea estetica della progettazione architettonica dove un disegno con la grafica gradevole è molto più importante del suo contenuto progettuale, facendo entrare questi neolaureati in un torpore intellettuale che ovviamente il mercato del lavoro poi rifiuterà.
Anche i docenti obbligatoriamente formati a questo tipo di pratica didattica, saranno costretti a condividere lo stesso torpore intellettuale in un ottica tecnocratica (parlo del corso universitario in Progettazione dell’architettura) che il mercato tanto ama, avere tutti omologati a livelli bassi per propinargli da consumare quello che gli pare, assorbirà questo tipo di persone come consumatori e non come produttori ovviamente.
In questi giorni il capo del governo Conte, dice che siamo in recessione economica, e ci credo bene, le giovani leve che dovevano osservare capire e risolvere problemi nuovi sono state allevate con la didattica emotiva, hanno ottime competenze emotive, sanno predisporre emozioni positive ma guarda un po’ se io rendo piacevole il clima emotivo questo non è sufficiente per capire i processi causali che la realtà ci impone, e già perché per produrre benessere bisogna capire la realtà e non favorire emozioni, piccolo particolare sfuggito ai nostri illustri pedagogisti e ora che si fa? Si importano pensatori dai paesi poveri, ma attenzione i pensatori poi diventano dominatori e i nostri bravi giovani, così gradevoli diventeranno i loro schiavi?
Nel XX secolo purtroppo essendo la cultura monopolio maschile, non sono mai emersi e nello specifico in campo psicoanalitico e psicologico, aspetti che potessero oscurare la “potenza fallica” dell’uomo.
Nell’immaginario fallico del maschio, la sua potenza si spegne nell’incertezza paterna, ovvero nella sua ossessione di non poter mai sapere se davvero è padre del figlio che gli viene indicato dalla madre di un bambino/a.
Per quietare questa angoscia maschile, il dubbio di allevare un bambino geneticamente appartenente a un altro maschio, gli uomini si sono inventati poteri divini assegnati in quanto sacerdoti, poteri di vita e di morte, e poteri divini di poter accusare come malvage e peccaminose le donne i cui figli non avevano alcuna certezza paterna.
Stiamo parlandodelle prostitute, cosi definite dagli uomini, cioè di quelle donne che dopo essere state sedotte e violentate, vengono abbandonate nella solitudine da parte di tutto il contesto sociale, influenzato dalla cultura religiosa, nel nostro caso quella cattolica.
Nelle regioni meridionali si obbligava il maschio a sposare la donna che egli aveva ingravidato, certamente più corretto perché attribuiva al maschio la responsabilità della cosa.
Nelle regioni settentrionali dell’Italia come per esempio nella cittadina di Mantova, il maschio che aveva ingravidato la donna veniva protetto e sulla donna veniva riversata ogni responsabilità in modo calunnioso, alcune sentenze giuridiche parlano di questa reazione maschile, imputando alla donna comportamenti seduttivi che avrebbero trascinato il maschio all’atto sessuale con la premessa che l’uomo non può controllare il proprio istinto sessuale se viene sottoposto a seduzione.
Nella ridente cittadina della padania,capitava che la figlia o i figli una volta cresciuti perché non soppressi con aborti clandestini, assomigliassero irriverentemente al padre, e pertanto veniva imposto per esempio alla figlia, se il padre abitava in qualche paese della provincia di Mantova, di non avvicinarsi ai luoghi di residenza del padre per non suscitare scandalo con la sua stessa somiglianza al padre, o in altri casi di maggiore violenza sociale, se la residenza del padreclandestino corrispondeva alla residenza della madre e del figlio rigettato dal padre in quanto marito di altra donna questi se aveva molto potere sociale in quanto politico riverito rinomato e rispettatoda tutti, procedeva in modo occulto a far allontanare legalmente il figlio dalla madre, in modo che il figlio andasse a vivere in luoghi distanti e in modo che la somiglianza del figlio non suscitasse scandalo al politico che aveva ingravidato la donna e scandalo alla sua famiglia con conseguente espulsione dalla vita politica, in particolare se, si parla degli anni ’70, se il politico aveva un appartenenza democristiana.
Ovviamente in una società basata sul diritto questo poteva avvenire solo per validi motivi, per esempio una desunta incapacità mentale, magari con un tipo di patologia che non mostrasse evidenti deliri e allucinazioni, per esempio la sindrome paranoidea altresi chiamata “pazzia lucida” e come una follia possa essere lucida è tutto da capire….
Siamo nella città di Rigoletto la città degli intrighi e dei tradimenti, ma di certo qualcosa di simile accadeva e probabilmente accade ancora in tutto il mondo; nei paesi islamici risolvono il tabu dell’incertezza paterna con una lapidazione, nei paesi asiatici inducono la donna e il figlio ad auto sopprimersi in modo suicidario, per la vergogna, in India le donne violentate si suicidano perché sanno di non poter più avere una vita nel rispetto e nella dignità, in Italia patria del diritto romano lo si faceva e lo si fa ancora manipolando leggi quindi togliendo diritti in modo pretestuoso, cioè la “patria potestà”, e non è un caso che anche per la donna si chiami patria potestà e non matria potestà.
Cosa dire, dal punto di vista psicologico l’uomo di dovrebbe evolvere e alla luce delle recenti scoperte sul dna, che dimostrano un dna comune con tutti per il 99% , con con gli altri esseri viventi per almeno il 70%, capire che dall’atto procreativo non procede materia biologica per la metà di un altro se stesso, come erroneamente pensava la scienza medica prima, e quante fesseria ci ha rifilato la scienza medica.
In conclusione tutto quel giro ormonale in prevalenza testosteronico, durante l’atto sessuale che tanto fa sentire onnipotente il maschio, fa proseguire un misero 0,05% del suo dna, comprensivo dei suoi antenati, e la sua angoscia di incertezza paterna può contare su un misero 0,00001% di caratteri esclusivamente suoi, antenati esclusi, o forse meno.
In altre parole il maschio viene perturbato dalla “carta regalo”, la somiglianza esterna, e non dall’effettivo contenuto genetico, la somiglianza esterna è ciò che alimenta il desiderio di accudire un figlio che sembra “solo mio” almeno al 50%, mentre la natura fa il suo corso fregandosene della soggettività maschile e propagando il restante 99% di dna comune a tutti.
Le donne invece hanno propensioni accuditive a prescindere dalla somiglianza a se stesse dei “cuccioli” d’uomo.
L’architettura ebbe nella storia funzioni differenti, la principale fu quella protettiva e di incontro sociale, poi si affiancò quella estetica in cui la funzione principale era quella di ostentare potere e creare timore reverenziale nei ceti sociali più bassi.
Oggi l’architettura si è svuotata della sua funzione principale e quindi si è svuotataanche di senso, abbiamo un’ architettura che vuole stupire a tutti i costi, con contenitori vuoti, avulsi di senso, di dubbia bellezza.
Come nel periodo fascista l’ignoranza architettonica distruggee copre le forme e le tinte degli artefatti precedenti, che ci parlavano di storia e di vicende che si sono susseguite negli anni, con i suoi tipici segni lasciati sul materico, trasformando gli edifici con stucchevoli “contenitori” quasi fossero “carte da regalo” : gli intonaci, che rendono tutto uniforme, liscio, come un foglio bianco rimasto tale perché le idee sono morte.
Ma un foglio bianco vicino a un’ opera d’arte fa una pessima figura, da qui la necessità dei nuovi architetti e restauratori di occultare tutto con piani e tinte uniformi, trasformando in deserto creativo ciò che fu un dei luoghi, l’Italia, fra i più fertili di idee e arti.
E allora l’architettura non può che trasformarsi in un festival, come il festival di San Remo che a suo tempo si sostituì alla lirica dei tempi storici precedenti volgarizzando la musica, anche l’attuale festival dell’architettura, a Mantova, diventa luogo di intrattenimento dove si fa spettacolo, l’architettura si è trasformata in una scenografia temporanea, dove la cultura viene sostituita da bizzarre riflessioni scollegate fra loro, nel tentativo di farne un inconsistente business hollywoodiano, che fa sfilare architetti come se fossero attori famosi, e poi non stupiamoci se in questa concezione dell’architettura, scialbo diventa il destino dei terremotati abruzzesi, cui si offre una temporanea scena che poi si smonta per trasferire lo spettacolo in altro luogo, lasciandoli privi di reali soluzioni abitative.
Figlia del suo tempo l’attuale architettura scenicaha perso i proprio senso di esistere, quella di dare risposte concrete al bisogno abitativo di tutti, in un decadentismo culturale che è sotto gli occhi di tutti, ossessionata dall’idea che un edificio possa essere sporco e quindi vada ripulito e riordinato, trasforma tutto in tabula rasa, secondo una sua invenzione che chiama “razionalismo” dove tutto è lineare ingombrante e prepotente nell’occupare i luoghi incantati che furono un tempo della natura.
Il linguaggio occulta tutto questo squallore chiamando eccellenza, ciò che resta dopo aver eliminato e distrutto tutto ciò che si discostava da questo modello povero, scialbo, vuoto e privo di relazioni estetiche e funzionali con il proprio contesto ambientale e con le persone reali, in una forma di autoesaltazione solipsistica fatta di vuoti di contenuto e tanta apparenza scenica.
Conoscenza come esperienza.
La conoscenza e la bellezza sono esperienze che la coscienza può fare attraverso una percezione multisensoriale, e a mio parere il modo più corretto di intendere la conoscenza è: la conoscenza in senso ebraico, e cioè attraverso l’esperienza sensoriale, con l’ambiente che ci circonda, sia esso naturale o socio relazionale.
Conoscenza come esperienza con tutto il corpo
L’esperienza della bellezza: come ascoltare le note di un violino, coinvolge non solo le diverse
funzioni ideative della mente ma anche le emozioni e i sentimenti che possiamo sentire con tutto
il corpo per esempio con: il cuore, la pelle, l’intestino.
La conoscenza esige un contesto
Per questo motivo la conoscenza in quanto esperienza non può essere veicolata da nessuna forma digitale e tecnologica, la conoscenza ha bisogno della percezione integrata dei cinque sensi, vista, udito, olfatto, gusto e tatto, e di un contesto, per esempio leggere un libro in un preciso contesto permette maggiormente questo.
Egocentrismo conoscitivo
I nostri sensi sono notevolmente limitati, noi percepiamo, non penso di esagerare nel dire che percepiamo un decimo della realtà, anche se abbiamo la sensazione di percepire la realtà nella sua completezza.
La nostra mente funziona in modo egocentrico, pensiamo che quello che abbiamo percepito noi sia l’unica realtà, ma ne percepiamo una minima parte.
Influenza dell’età sulla conoscenza
Il rimanente 90% lo ricostruiamo a livello cognitivo con il nostro cervello, in base alle nostre esperienze, quindi in base alle informazioni codificate nella nostra memoria a lungo tempo, memoria di lavoro, e in base alle nostre categorie e modalità associative cognitive, cui siamo abituati, è questo il motivo per cui il “riconoscimento” per esempio di una sequenza di note, ma in generale di tutto, è più accurato nell’età avanzata, ma anche più insicuro “sarà quel brano di quel musicista?….” , in quanto lo stimolo: sequenza di note, si deve confrontare con molte più informazioni codificate nella nostra memoria a lungo termine.
Il giovane per esempio è più sicuro di aver riconosciuto esattamente ma più approssimativo
perché ha codificato in memoria meno informazioni, ha meno esperienza, le informazioni nuove
vengono confrontate con quelle preesistenti, se sono poche per il principio di autoreferenzialità
cognitiva, il giovane è più sicuro di aver riconosciuto qualcosa con esattezza, ma meno accurato.
Conoscenza come processo non dissonante
E qui abbiamo la seconda importante evidenza e cioè che la conoscenza deriva da un processo, non è come un supermercato, per così dire come un motore di ricerca dove uno va prende, consuma e getta, in una dinamica astratta di elementi, non solo separati fra di loro ma anche “ridotti” in quanto trasformati in algoritmi e pertanto privi di possibilità percettiva e contenuto multisensoriale, la conoscenza intesa dal punto di vista psicologico, non può essere:
unisensoriale/bisensoriale, decontestualizzata e avulsa da un processo.
Conoscenza e libertà di propri focus attenzionali
E’ vero che sul monitor del pc ho la realtà simulata almeno su due canali: visivo e uditivo, ma sono due spaccati di realtà già filtrati da qualcun altro, quindi l’attenzione non è il nostro “filtro attenzionale”, non possiamo porre attenzione a elementi di realtà secondo il nostro modello cognitivo, come facciamo ora in questa stanza in cui possiamo decidere se ascoltare il conferenziere o guardare il nostro vicino, (ma in realtà percepiamo anche altro nonostante il “focus attenzionale” e questo dipende dalla nostra mente), ed è su questo percepire quel decimo di realtà che permette la nostra “rappresentazione condivisa di realtà” ed esperienza, ma se costruiamo la realtà attraverso un pc, questo significa che stiamo percependo una realtà ancora più ridotta, non penso di esagerare se parlo dell’1% di realtà percepibile con forme di trasmissione di realtà attraverso il digitale, e senza considerare le alterazioni che il linguaggio già di per se produce, su cui costruiamo la nostra esperienza di realtà, la costruzione di realtà da punto di vista psicologico ha la necessità di essere almeno in parte costatativa, almeno quel 10% lo dobbiamo avere.
Ipertecnologismo e svilimento della conoscenza
La tecnologia digitale non può in nessun modo sostituire l’esperienza e il processo di conoscenza quando incautamente lo fa, genera rappresentazioni irreali, le chiamiamo virtuali ma sono irreali, in ogni caso abbiamo bisogno di percepire almeno un decimo di realtà per poter ricostruire qualcosa di verosimile al di sotto del quale non è possibile andare, per questo motivo non possiamo delegare alla tecnologia informatica nessun processo ne di interazione ne di riconoscimento ne di ricostruzione di una realtà storica, la quale è già di per se ridotta a causa del decadimento della materia dovuto al tempo.
Conclusioni: più tutela della conoscenza più salute mentale
Custodire la storia, e pertanto un manufatto, è necessario in quanto la conoscenza è anche un processo, se non abbiamo elementi riconoscibili di “memoria sociale”, e recenti studi stanno dimostrando che nel nostro DNA sono presenti “memorie di esperienze fatte dai nostri antenati”, se non abbiamo questo, i “segmenti del DNA” non si attivano, essi si attivano solo se ci sono percezioni sensoriali corrispondenti e non deformate da algoritmi.
Per questo motivo poter restituire alle future generazioni dei pezzi di realtà storica, è necessario per poter permettere a loro processi biochimici di “riconoscimento” e “attivazione “ di parti del loro DNA che permettano a loro di stabilire i confini della loro coscienza, che anche se immateriale, potrebbe così interagire anche con elementi materici autentici percepibili con i sensi, e non deformati da astrazioni algoritmiche.
In definitiva è un modo per assicurare alla future generazioni di poter prendere contatto con il proprio “se” almeno per quella parte che riguarda l’identità sociale, e poter godere di una salute mentale che al giorno d’oggi sembra in generale un po’ compromessa.
a questo link colleghi cognitivisti oltreoceano che esprimono come me perplessità su un eccessiva invadenza della tecnologia informatica https://vimeo.com/295333263?ref=fb-share&fbclid=IwAR1uYZNEmeHQaB6O0SOIhkRLS0-AaM9-Uwa36gKIusRPvlu2pXbMIS_492A
Recentemente ho letto di evidenze scientifiche che affermano che anche nel cervello degli anziani esiste plasticità neuronale ovvero la capacità dei neuroni di emettere dei prolungamenti per potersi connettere con altri neuroni.
Sostanzialmente questo di dice che l’attività elettrica si propaga, magari su reti neuronali più complesse, ma non ci dice nulla del contenuto dell’ideazione, e come ho già espresso in altri articoli a mio parere il contenuto ideativo va scisso dalla presenza quantitativa di attività elettrica, cioè se c’è più massa cerebrale o più attività elettrica questo non è in relazione con la qualità ideativa.
Ma detto questo ascoltando quello che dicono gli interessati, ovvero gli anziani, senza fermarsi su immagini RMN o TAC, cosa possiamo dedurre?
Nell’anziano sono meno efficienti i sistemi sensoriali, vista udito, sensibilità al dolore, ecc…, o perlomeno hanno soglie di attivazione più alte, e questo potrebbe comportare una minore reattività, ma anche una minore interferenza con l’ideatività riflessiva in termini di capacità di concentrazione (una reattività sensoriale alta interferisce con l’attività cognitiva).
Questo ci può dire che aumenta la capacità riflessiva e diminuisce l’attività reattiva agli stimoli ambientali. Meno reattivo agli stimoli ambientali significa demente? Direi proprio di no.
Un’altra caratteristica è che aumentano i ricordi biografici e diminuisce la memoria a breve termine, quindi una maggiore efficienza della memoria a lungo termine e una minore efficienza della memoria a breve termine. Se un anziano dimentica dove ha messo le chiavi di casa ma ricorda perfettamente un episodio di 50 anni prima significa che è demente? Direi proprio di no.
Anche la capacità di discriminare i piccoli dettagli per esempio nella lettura diminuisce ma il significato globale di un testo viene più rapidamente classificato come valido o no in base ad associazioni semantiche più rapide in uno stile tipo: “intuizione” pertanto poco argomentabile in tutti i processi. Quindi se un anziano legge e scrive male le parole significa che è demente? Direi proprio di no, perché poi aggiusta con dei feedback il senso di tutto il testo e lo confronta con altre informazioni in memoria che sono quantitativamente molto più numerose che in un giovane.
Un’altra caratteristica dell’anziano è che nella “memoria di lavoro” riesce ad avere meno variabili rispetto a un giovane, questo lo rende meno efficiente in compiti operativi complessi, per esempio la pulizia accurata della propria casa, in altre parole un giovane molto rapidamente si rappresenta tutto il processo che deve fare e riesce in breve tempo a scegliere la successione operativa più veloce, l’anziano si rappresenta le funzioni simboliche ma non riesce a rappresentarsi tutta la successione operativa, in altri termini l’anziano si rappresenta l’idea di: pulire il pavimento, e lo associa con il concetto di scopa, e poi con l’idea della diversa efficienza di vari prodotti con tipi diversi di germi, per farla breve si complica la vita su un compito operativo rendendolo semantico. Quindi se un anziano è molto lento in un compito operativo significa che è demente? Ma direi proprio di no. Entrando nello specifico sono infinite le funzioni cognitive che con l’età vengono modificate e sostituite con processi ideativi che si distinguono molto da quelli che ha un bambino, un giovane o da chi ha una età più giovane, ma che il giovane non sia a conoscenza di quali sono questi processi ideativi e che l’anziano non li possa spiegare in quando sono comprensibili solo nel momento in cui vengono sperimentati non significa che non esistano.
Verso la metà dell’800 la stazione ferroviaria di Mantova venne costruita a Porto Mantovano per tutelare la sponda del lago superiore e mantenere l’accessibilità diretta, successivamente ad opera di un ingegnere inglese la stazione ferroviaria venne trasferita all’interno dell’ansa del fiume Mincio con l’idea che dovesse essere subito accessibile dal centro (idea malsana). Questa enfatizzazione della stazione ferroviaria è chiaramente figlia del suo tempo, ventesimo secolo il secolo dell’industrializzazione e delle macchine di cui il treno era un simbolo viaggiante di questo tempo e la stazione ferroviaria era il monumento più importante a ciò che era visto come progresso, mantenere questo oggi ventunesimo secolo è quanto meno anacronistico.
Ventunesimo secolo: il vessillo del progresso non è più la potenza del motore ma la tecnologia informatica, quindi ci chiediamo se per lo sviluppo di una “grande Mantova” abbia ancora senso mantenere una stazione ferroviaria centralizzata o se ha più senso predisporre 5 stazioni ferroviarie satelliti e permettere un più salubre accesso a tutte le sponde dei laghi e al Parco Naturale che li contiene.
Le linee ferroviarie potrebbero essere 1)Villaggio Eremo: linea Mantova Milano, 2)Levata: linea Mantova Modena, 3)Soave: ripristino della Mantova Peschiera (incrocio Milano Venezia) 4)Porto Mantovano: Mantova Verona, 5)Zona industriale: Mantova Monselice.
Queste zone satellite diverrebbero davvero dei piccoli centri di una “grande Mantova” la cui espansione è stata innegabilmente compromessa dalla presenza di binari che fungevano da barriere da muri fra zone, non si è mai avuto consapevolezza di come dal punto di vista psicologico, l’attesa a un passaggio a livello equivalga a una specie di confine come fra due regioni diverse.
Con una semplice applicazione su smart phone si potrebbero avere in tempo reale tutte le partenze dalle 5 stazioni satellite e i mezzi pubblici che li collegano, non siamo più nel ventesimo secolo concentrare il traffico su piazza don Leoni significa separare la zona sud di Mantova dalla zona nord, e mantenere un urbanistica che inibisce l’espansione della città.