Monthly Archives:Luglio 2016

Gli ordini ballano sulla salute della gente ignorano la necessità di definire un “mercato” capace di generare reddito per gli psicologi e svendono la psicologia?

SchultzCon l’involuzione intellettuale prodotta dalla riforma universitaria del ministero “Moratti” (lauree triennali)e la degenerazione culturale prodotta dalle varie decretazioni del governo Monti (legittimazione dei counselor) che in qualche modo hanno coinvolto gli psicologi, da qualche anno si assiste a un proliferare di teorie psico qualcosa, sia di origine accademica che di origine individuale .

Dopo la riforma del 1989 la psicologia si trovava ad impegnarsi su un piano professionalizzante; negli anni ’90 la formazione accademica era molto impegnativa e vedeva per esempio in Università come Torino solo il 10% di studenti laurearsi rispetto gli immatricolati, senza che venisse istituito il numero chiuso.

A cosa serviva un iter di studio così complesso, impegnativo e approfondito dal punto di vista epistemico e così ampio nella trattazione di tutti gli orientamenti psicologici che si erano sviluppati nel ventesimo secolo? Di certo non serviva a scegliere l’orientamento più adatto allo studente, in quanto venivano presentati tutti gli orientamenti come validi e obbligavano lo studente ad integrare tutti gli approcci, pertanto i percorsi universitari degli anni ’90 fornivano “molteplicità d’approccio psicologico” e correttezza logica e scientifica nel comprendere ciascun aspetto, alla fine ne uscivano psicologi con una consistente formazione che però non trovavano un “mercato professionale” tutelato dall’Ordine degli psicologi che permettesse ai nuovi psicologi di generare reddito.

Quello che hanno trovato gli psicologi degli anni ’90 è stata una sempre più diffusa tendenza a continuare a generare reddito con i neo-laureati in psicologia, da parte di molteplici psico-formatori, attraverso scuole di specializzazione in psicoterapia, ed ora tramite corsi formativi obbligatori, di fatto le istituzioni ordinistiche hanno favorito e giustificato un mercato psicologico formativo, oneroso per i neopsicologi, e non tutelativo del mercato professionale degli psicologi, questa è solo una questione economica? A mio parere no.

L’Ordine degli Psicologi, procedendo su questa strada “auto-fagocitante” ha favorito il quintuplicarsi del numero degli psicologi italiani, fino a generare un numero pari a un terzio di tutti gli psicologi europei e un decimo di tutti gli psicologi mondiali, senza mai, a differenza di tutte le altre professioni, definire il “mercato professionale” degli psicologi, ed a oggi continuano a giustificare che: le competenze più pertinenti agli psicologi, vengano distribuite su altre professionalità sempre attraverso un florido mercato di corsi rapidi semplicistici offerti ai vari “psico-qualcosa” e molto spesso tenuti da altrettanto “psico-qualcosa” (senza una laurea in psicologia), fino ad arrivare a corsi universitari in psicologia tenuti da un 80% di “psico-qualcosa”.

Tutto questo genera qualche problema alla salute collettiva?

A mio parere si per esempio l’enfasi sulla questione “autostima” produce dei narcisisti, i narcisisti hanno bassa capacità empatica, pertanto sono inclini a comportamenti crudeli senza rendersene conto, e infatti abbiamo un aumento dell’aggressività sociale e un proliferare di fenomeni sadici: “mobbing”, “stalking”.., oppure certe modalità prescrittive in stile “comportamentistico”, denominate spesso in modo inadeguato “cognitivo-comportamentale”, queste esonerano il soggetto a riconoscere il processo causale e lo infantilizzano, vero se si ha obbedienza da parte del soggetto (chiamata inadeguatamente compliance) si ottengono risultati a breve termine, ma poi quali sono i costi dell’infantilizzazione che ne conseguono? Sono facili da immaginare: deresponsabilizzazione, dipendenza dalla prescrizione, e pertanto una certa tendenza alla sociopatia o quanto meno forte influenzabilità verso le strategie di marketing che sono seduttivo-prescrittive.

E la lista sarebbe molto lunga…

In conclusione, questa negligenza istituzionale, da parte dell’Ordine degli Psicologi, in termini di non definizione di un mercato professionale, sta molto probabilmente generando danni alla salute collettiva, in quanto permette che la professionalità psicologica sia estesa a persone (es medici, insegnanti, infermieri, counselor) che non hanno la competenza per esercitarla, in quanto non sono provvisti dell’iter formativo specifico: laurea in psicologia, tirocinio, esame di stato, specializzazione post laurea, in altre parole, definire l’iter formativo specifico dello psicologo, non è sufficiente se a ciò non segue un altrettanto seria definizione del “mercato psicologico”, mercato che vorrebbe se si segue la logica del buon senso, psicologi insegnare psicologia a degli psicologi e non chiunque insegnare psicologia a chiunque, se poi nascono fenomeni del tipo corsi contro l’ideologia del gender, non lamentiamoci, se poi chi li segue non sa riconoscere già nella nominazione “ideologia” qualcosa di ridicolo e illogico, io non penso che la psicologia debba essere ridotta a un “oggetto di vendita” proposto da chiunque su cui far convergere spot pubblicitari come quello sopra citato “ideologia del gender”, ritengo che le istituzioni abbiano grosse responsabilità in questo senso.

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Sulla bufala della dipendenza da psicoterapia

dopamina-it-000La dipendenza è una condizione psichica in stretta relazione con il circuito della gratificazione, il quale è la parte del cervello che ci fa sentire bene. Quando ci sentiamo bene per qualsiasi motivo, il circuito cerebrale della ricompensa è attivato.

Esso comprende diverse parti del cervello ed è costituito da un insieme di neuroni che rilasciano dopamina, un importante neurotrasmettitore.

Nel momento in cui questi neuroni rilasciano dopamina, la persona prova piacere e vengono attivati da uno stimolo di piacere o di ricompensa, es. cibo, acqua, sesso, innamoramento, vincita a un gioco d’azzardo, oppure da sostanze come la cocaina, e psicofarmaci che alterano direttamente o indirettamente la biochimica di questo circuito.

L’abitudine, invece è un comportamento ripetuto, stabile nel tempo, ricorrente, che non produce piacere, e non da dipendenza.

Per esempio:

  1. a) se una persona è abituata a mangiare prima la verdura, poi la pasta e alla fine la frutta, se per un mese non trova frutta, e può mangiare solo verdura e pasta, non prova nessuna spiacevolezza psichica, e non ha nessuna dipendenza da verdura, pasta, frutta. Questa è abitudine non dipendenza. Anche andare a scuola tutti i giorni è un’abitudine ma studiare in sé non da dipendenza.
  2. b) Se una persona tutte le volte che è frustrata in modo pulsionale ingoia 10 barrette di cioccolato e dopo averlo fatto prova piacere, questo è un comportamento gratificante che produce piacere e quindi dipendenza. Questa è una ricompensa gratificante prodotta da uno stimolo di piacere: cioccolata. Anche assumere droghe da piacere e questo da dipendenza.
  3. c) Se una persona non mangia per tre giorni e sente una sensazione fisica spiacevole di fame, è perché non ha soddisfatto il bisogno di nutrirsi. Questo è un bisogno fisiologico. Anche dormire è un bisogno da soddisfare, anche liberarsi dalla paura è un bisogno psichico da soddisfare, e non è dipendenza.

Ultimamente sento persone convinte che la psicoterapia dia dipendenza, ma tale convinzione può derivare solo da una profonda ignoranza riguardo la psicoterapia, o dall’influenza di un ben mascherato marketing sugli psicofarmaci che hanno i loro principali concorrenti negli psicoterapeuti.

Ora sia chiaro che seguire una psicoterapia, non è come fare sesso, mangiare cioccolata, o assumere cocaina o psicofarmaci, il piacere della psicoterapia è dato dalla risoluzione di una tensione emotiva, affettiva, del pensiero, quindi è il soddisfacimento di un bisogno, per esempio mangiare, la psicoterapia non un’abitudine o un piacere che da dipendenza.

La modalità psicoterapeutica, ricorrente, settimanale, stesso orario, è una modalità di stabilità relazionale necessaria per poter lavorare su processi psichici, in quanto si tratta di qualcosa di intangibile che necessita di un riferimento tangibile: il tempo, chi scambia questo per un’abitudine o immagina che ci sia un qualche tentativo di creare dipendenza, esprime una profonda ignoranza sulla natura della psicoterapia e null’altro.

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L’ipotesi specchio non può riguardare l’empatia.

Ultimamente la moda sui neuroni specchio li vede implicati ovunque, confondendo i vari piani psichici e i processi da cui sono attivati, l’ultima vorrebbe che i neuroni specchio siano coinvolti nell’empatia, ma il processo è totalmente differente anche se non è escluso che i neuroni dell’area F5, in cui sarebbero presenti i neuroni specchio, si attivino in quanto neuroni aspecifici e polifunzionali.

A mio parere il primo errore viene fatto dagli sperimentatori in quando sovrappongono l’elemento neuro-attivante oggetto/soggetto.

Riassumendo il fenomeno osservato si ha sia quando il macaco mangia (attivazione F5), sia quando il macaco vede mangiare un altro macaco, ma l’area F5 sarebbe attivata dall’oggetto: nocciolina, o dalla vista del soggetto che mangia la nocciolina? Ovviamente qui trascendiamo l’analisi del setting predisponente: laboratorio sperimentale, totalmente avulso dall’ambiente naturale in cui dovrebbero vivere i macachi.

Nel suo ultimo libro uno degli sperimentatori sostiene che i neuroni specchio sono da considerarsi i “neuroni dell’empatia”, quindi opta per una delle due interpretazioni, l’area F5 sarebbe attivata non dall’oggetto “nocciolina” in mano al macaco, ma dall’osservazione: “soggetto macaco” che mangia la nocciolina, pertanto presunta identificazione.

In altre parole se uno entra in un ristorante è più facile che si identifichi con le persone che stanno mangiando piuttosto che venga attratto dal cibo che le persone stanno mangiando.

Al momento questo non è dimostrabile, non possiamo stabilire se se l’area F5 si attiverebbe dalla nocciolina in mano al macaco o dall’osservazione dell’atto motorio “mangiare la nocciolina”.

1-7Sulla rete web sta circolando un episodio che si è verificato spontaneamente in ambiente urbano, in India, una scimmia rhesus, ha salvato un cucciolo di cane dall’attacco di un branco di cani, per poi prendersene cura e in un certo senso adottarlo: http://blog.pianetadonna.it/amotuttiglianimali/scimmia-impietosita-un-cucciolo-randagio-lo-adotta-avergli-salvato-la-vita/

2-7Non è una caso raro altri comportamenti altruistici di animali verso altre specie di animali si sono verificati con una certa frequenza.

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Una collega mi ha fatto notare come in questo caso l’empatia non fosse intraspecifica e infatti è più probabile che l’empatia sia collegata allo sviluppo di un proprio codice etico piuttosto che attivata da una identificazione automatica nei confronti dell’altro.

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Pertanto è altamente improbabile che la scimmia possa identificarsi nel cucciolo di cane, specie completamente diversa, è più probabile che sia mossa da una suo “codice etico” che la spinge a salvare il cucciolo nonostante il pericolo di essere sbranata dal branco di cani, che sta correndo.

In psicologia si presume che i due livelli di sviluppo presumibilmente implicati nella presunta “empatia” nella teoria specchio, si svolgano in tempi diversi.

  1. a) Lo sviluppo del senso di fame, quindi stato di tensione e frustrazione, e quello di sazietà, riduzione della tensione, appagamento-piacere, sarebbe la parte preponderante che forma le connessioni neuronali dei primi giorni di vita di un essere vivente.
  2. b) La coscienza etica si svilupperebbe nell’uomo durante l’età della latenza ( dai 5 ai 10 anni) e sarebbe l’elaborazione dei diversi codici etici presenti nell’ambiente (familiare, scolastico, con i pari durante il gioco) con il se del soggetto (individuazione) se in parte presente nel DNA che si slatentizza in presenza di stimoli psico-sociali ambientali.

Per stare in relazione con la teoria specchio l’aspetto a) è attivato dall’oggetto “cibo” , mentre l’aspetto b) dal soggetto che mangia (empatia).

Riportandoci all’esempio del comportamento della scimmietta che salva il cucciolo di cane:

  1. a) il piacere è automatico, ho fame, frustrazione (mi manca qualcosa e provo tensione) mangio la banana e la tensione scompare= piacere, quindi memorizzo la banana=piacere. Alla vista della banana si attiva un circuito neuronale veloce e automatico.
  2. b) affetto, (nell’uomo) dai 5 ai 10 anni mi costruisco un codice etico, vedo il cagnolino e provo dispiacere SECONDO IL MIO CODICE ETICO perché è in pericolo, intervengo anche se capisco il pericolo di essere aggredito, quindi INTERVENGO IN PRESENZA DI TENSIONE (pericolo) per salvare il cucciolo (codice etico). Il primo è attivato dalla presenza di nutrienti in circolo e dalla memoria dell’oggetto che produce questa risposta neuro bio chimica, il secondo da una struttura ideica più complessa, che si sviluppa dopo i primi mesi di vita (nutrizione, quando si sviluppa il processo banana – piacere) a seguito di una elaborazione soggettiva integrata fra la cultura circostante e il proprio se, che va a formare il “codice etico”. L’empatia in qualche modo sostiene il codice etico, ma assolutamente non quello alimentare perché se così fosse non mangeremmo nulla!

Pertanto è impossibile che dal punto di vista psicologico la: “fame-tensione frustrazione-sazietà-piacere” possa essere simultanea alla dinamica psichica “empatia-tensione dispiacere- comportamento etico”, è ovvio che il primo produce un comportamento che va verso la diminuzione di tensione: sazietà-piacere, mentre il secondo produce un comportamento che aumenta la tensione: la paura di essere aggrediti difendendo il cucciolo.

Quindi possiamo affermare una teoria polifunzionale che riguarda tutti i neuroni, ovvero non è la specificità dei singoli neuroni che caratterizzano la modalità psichica, in altre parole non è la specificità nel neurone specchio che caratterizza sia piacere da sazietà che empatia, secondo una duplice specifica funzione del neurone specchio.

O anche non è l’area F5 delimitata e costituita da specifici neuroni che determinerebbe sia il piacere della visione del cibo, sia il comportamento altruistico di protezione della scimmietta indiana, ma più probabilmente questo è determinato dal percorso che lo stimolo elettrico fa nel momento in cui si verifica l’attività psichica.

In questo senso i neuroni specchio possono essere considerati come degli “incroci” di diverse attività cognitive ma non dei neuroni specifici per una o l’altra attività psichica.

Concludendo i piani

a) soddisfazione di bisogno fisico (alimentazione) piano pulsionale.

b) identificazione con un altro individuo, piano affettivo.

c) comportamento di protezione materna, piano etico su base empatica.

difficilmente possono essere attivati contemporaneamente, o piacere alimentare, o identificazione proiettiva, o comportamento volitivo su base empatico-etica.

Pertanto non è sostenibile l’idea che della specificità di un singolo neurone specchio e tanto meno che abbia nella propria specificità tutte queste funzioni contemporaneamente, al massimo si può presumere che i neuroni siano polifunzionali e pertanto che possano essere parte di circuiti diversi, ma questo esclude un specificità neuronale come l’ipotesi specchio vuole far credere.

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L’imitazione neonatale non è presente fin dalla nascita.

imitazione_fig_vol1_005190_001Le evidenze emerse con le ricerche sull’apprendimento e relativa modifica dei circuiti neuronali, ricerche sull’Aplisia, un mollusco con assoni neuronali così grossi di diametro da permettere la misurazione del potenziale d’azione, e nemmeno le evidenze sulla plasticità neuronale, con recuperi neurologici, evidenti anche sugli umani, in caso di lesione, non sono bastate a dare uno stop alla vecchia idea di considerare la psiche e il sistema nervoso in modo statico, immutabile, predefinito.

La moda scientifica, sui neuroni specchio, ha fatto rinascere le vecchie concezioni di localizzazione e fissità della psiche, tale moda scientifica si sta affermando anche a livello accademico, anche con argomentazioni sulla cosi detta “cognizione sociale” umana, e si avvale di tali concezioni, in cui esisterebbe, fin dalla nascita, la “caratteristica immutabile” per una determinata attività socio-cognitiva imitativa, cioè nel singolo neurone, con specifica differenziazione funzionale che nel neurone specchio è la funzione motoria.

Secondo l’ipotesi specchio, i neuroni hanno fissità funzionale, per esempio nell’area F5, la funzione motoria del neurone è sia che si esegua un movimento sia che si veda eseguire lo stesso movimento, quindi sarebbero organizzati in aree specifiche e statiche, adiacenti alla zona della fronte (aree prefrontali) in modo da organizzare una mappa cerebrale che sarebbe stata confermata anche negli uomini dalla fRMI, tecnica che però, ultimamente si è mostrata fallace a causa dei software che utilizza, in altre parole, secondo la teoria specchio la corteccia cerebrale sarebbe come una cartina geografica, con confini statici e definiti.

La funzione neuronale sarebbe quindi specifica, localizzata a livello del corpo cellulare e immutabile, quella determinata cellula potrebbe svolgere solo quella funzione, anche se si tratta di funzione doppia “esecuzione-osservazione” di una funzione motoria.

Sul versante opposto noi cognitivisti storici, abbiamo sempre sostenuto, che l’attività neuronale è mutevole (plasticità neuronale) dinamica (possono essere utilizzati percorsi neuronali diversi per una stessa funzione cognitiva), polifunzionale (dallo stesso corpo cellulare possono passare potenziali elettrici per diverse azioni psichiche), e che sono le sinapsi, quindi i collegamenti neuronali, a determinare l’attività psichica e non lo specifico neurone, tranne in rari casi, più attinenti con la risposta endocrina.

Il neonato nasce con un numero di corpi cellulari almeno 10 volte maggiore, ma meno connessi fra di loro,  rispetto l’età adulta, età adulta che consideriamo come confine dello sviluppo più massiccio ed esplicito, in quanto il SNC si modifica, meno ma si modifica, fino alla fine della vita, il neonato attraverso l’esperienza già dai primi mesi consolida delle sinapsi quindi dei circuiti neuronali, e sono i percorsi fatti dal potenziale elettrico neuronale a caratterizzare il tipo di attività psichica e pertanto intangibile, e non i corpi cellulari o le attività cellulari che garantiscono solo che alcuni circuiti neuronali differiscano da altri (esempio sintesi dei mediatori sinaptici).

Anche dal punto di vista antropologico, la modalità comunicativa delle emozioni differisce da gruppo a gruppo a secondo delle abitudini sociali presenti nel gruppo d’appartenenza.

Pertanto è improbabile che possa esistere un modulo di imitazione innato basato sui neuroni specchio, come sostengono Giacomo Rizzolati, Leonardo Fogassi e Vittorio Gallese, neuroscienziati di Parma, come tra l’altro dimostrato nel maggio 2016 in questa ricerca di: Janine Oostenbroek Thomas Suddendorf Mark Nielsen Jonathan Redshaw Siobhan Kennedy-Costantini Jacqueline Davis Sally Clark Virginia Slaughter, ricerca fatta su 106 neonati testati in 4 tempi diversi (1-3-6-9 settimane di vita), in cui è stato dimostrato con un campione certamente più ampio, la casualità della risposta mimica nei neonati.

Un dettaglio non trascurabile è che la ricerca è stata fatta in Australia, dove la popolazione ha derivazioni etniche eterogenee e solo il 31% afferma di avere origini anglosassoni.

Pubblicazione  citata anche  in un articolo da Maurizio Rossetti

Ma allora cosa hanno trovato i teorici dei neuroni specchio?

Semplice hanno trovato quello che cercavano, la loro convinzione potrebbe averli portati a: favorire, predisporre, assemblare, in una sorta di “profezia che si autoavvera” una realtà costruita sulla base dei soliti “pregiudizi scientifici”, che proiettano il proprio stile cognitivo: stabilità, ripetibilità,  definizione anatomica e funzionale di un organo, sulla realtà osservata, e questo impedisce di vedere la realtà, per quanto sia possibile osservarla con la nostra limitatezza percettiva, per quello che è.

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La carica dei 101 mila psicologi e i troppi psico-qualcosa che gli fanno formazione.

Prima dell’istituzione dell’Ordine professionale degli psicologi 1989, in Italia si contavano 2 corsi universitari a: Padova e Roma.

All’inizio degli anni ’90 salivano almeno a 5: Padova, Roma, Torino, Milano, Bologna.

Oggi di corsi universitari in Psicologia ce ne sono almeno 39, dopo la Riforma Moratti che doveva adeguare i percorsi universitari alle esigenze del mercato, abbiamo visto il business formativo universitario di psicologi aumentare di 10 volte.

Di tutti questi laureati in psicologia solo una piccola parte si iscrive all’Ordine degli Psicologi con la speranza di poter esercitare la professione, per un totale di 95.000 nel 2015 che certamente ad oggi, 2016 avrà superato la quota di 100.000.

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L’affare formazione si è poi spostato anche alla formazione permanente (ECM obbligo formativo)

L’Ordine degli Psicologi, invece che tutelare la professione dello psicologo e impedire che un’enorme quantità di pseudopsicologi, faccia le stesse cose che fanno gli psicologi, è più preoccupato a controllare se l’obbligo formativo viene ottemperato da tutti gli psicologi, tramite agenzie apposite naturalmente costituite sempre dai non psicologi CoGeAps.

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Se state pensando che fare formazione è una delle opportunità per uno psicologo vi sbagliate, non solo nei vari costosissimi corsi di formazione ci sono tanti psico-qualcosa e rari psicologi, ma anche nei corsi di Laurea Magistrale in Psicologia per esempio due docenti su dieci hanno una laurea in psicologia, questo lo si scopre andando a cercare pazientemente nei loro curriculum, sui siti confusivi delle varie università.

Se per ottemperare all’obbligo formativo vi iscrivete a una di queste Lauree Magistrali in Psicologia, frequentando le lezioni vi accorgete subito che parlano di tutto tranne che di cose pertinenti alla psicologia o argomentate in modo congruente alla disciplina psicologica, una cozzaglia di informazioni inintelligibili, vi viene propinata con elegante trattazione, e poi capite il perchè… per esempio il corso denominato “SSD: PSICOLOGIA DINAMICA M-PSI/07, è tenuto da un filosofo, non iscritto all’Ordine degli Psicologi, ma dovrebbe essere un corso tenuto da uno psicologo – psicoterapeuta con esperienza di psicoterapia, semplicemente perché è più adatto a questo tipo di trattazione, o altro esempio: il corso denominato “SSD: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO E PSICOLOGIA DELL’EDUCAZIONE M-PSI/04” (notare lo PSI che sta per psicologia) non è tenuto da uno psicologo dell’età evolutiva iscritto all’Ordine degli Psicologi e con esperienza in psicologia dell’età evolutiva, ma da una pedagogista.

Tutto questo vi sembra normale? In qualche corso di laurea in Medicina, Architettura, Ingegneria, o altro che preveda un Ordine professionale accade tutto questo?

No non accade, e non solo nei corsi di laurea professionalizzanti, per esempio nel programma di corso di laurea in Fisica, chi insegna matematica deve avere una laurea in matematica, ma CHI INSEGNA FISICA HA ALMENO UNA LAUREA IN FISICA oltre a varie pubblicazioni.

E sono certa che andando a verificare i titoli accademici di tutti i docenti di tutti i corsi di laurea in psicologia, si troverebbero molte altre assurdità.

Quindi a che punto siamo arrivati con questa grande apertura degli Ordini professionali degli psicologi alla psicovulgata e alla legittimazione di un esercito di “psicoqualcosa”? versus: la delegittimazione degli psicologi controllando l’ ottemperanza all’obbligo formativo?

Questi psico-qualcosa formano gli psicologi che potranno iscriversi all’Ordine professionale degli Psicologi, e a breve venderanno corsi di formazione continua agli psicologi iscritti all’Ordine che sono tenuti pertanto all’obbligo formativo.

Io mi auguro che davvero per le prossime elezioni ordinistiche vi sia una sorta di carica dei 101 mila psicologi che si ribella al fatto di essere considerati solo ed esclusivamente come opportunità di reddito da parte di una valanga melmosa di non psicologi.

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fRMI e teoria specchio 70% di errore di misurazione.

mappa-di-internetNel precedente articolo: “validità dell’indagine dei neuroni specchio sugli uomini con fMRI” ho esposto in modo sintetico e divulgativo, quanto sono approssimativi i criteri con cui viene interpretata “l’attività nucleare degli atomi” in fRMI per dedurre l’attività di “specifiche aree” del cervello.

Proprio ieri leggevo un altra evidenza su questo: il 12 febbraio 2016,   Anders Eklund, Thomas E. Nichols, and Hans Knutsson hanno pubblicato, su Prooceedings of the National Academy of Sciences of the U.S. of America, una rivista scientifica autorevole, un loro lavoro su circa 500 soggetti. Tale lavoro scientifico di validazione sul procedimento statistico in fRMI,  ha controllato la validità di principali software di fRMI per produrre le immagini su monitor che interpreterebbero i segnali in uscita al fine di “mappare” l’attività cerebrale.

Tale studio dichiara che l’errore statistico che dovrebbe essere non superiore al 5%, in realtà si aggira attorno al 70%, quindi un qualche processo causale viene prodotto dal software stesso, che va a interpretare in modo errato (ridondante), ciò che viene rilevato come “attività cerebrale”, anche quando non c’è.

Questo significa che la costruzione della “teoria specchio” (cosi detti neuroni mirror) che si basa sulle “evidenze” delle fRMI sugli uomini, ha dubbio fondamento.

Del resto è noto che l’approccio riduzionistico, che si è sempre rivelato deficitario per lo studio del cervello, non spiega in modo corretto il funzionamento cerebrale.

Le evidenze scientifiche attuali, non manipolate, portano a dedurre che si il cervello abbia un funzionamento basato sulla multifunzionalità neuronale, quindi esisterebbero ben poche aree o neuroni specifici ( i neuroni mirror non sarebbero altro che neuroni polifunzionali come la maggior parte dei neuroni ) organizzati in circuiti neuronali, la specificità dell’ideazione cerebrale (pensiero, emozioni, affetti, comportamenti) deriva dal percorso fatto dallo “stimolo elettrico del cervello” (potenziale d’azione) e non dalla “caratteristica istologica” o neuronale del singolo neurone (funzione della cellula).

La “teoria specchio”, cerca di validare le registrazioni fatte sui macachi (di dubbia validità scientifica a causa della loro invasività) attraverso fRMI sugli uomini, ma  i software di queste “immagini” producono errori del 70%, davvero un’enormità, da ciò ne deriva che non può essere valida, per esempio non può essere inferito che i neuroni motori siano: neuroni empatici, e che l’empatia sia specifica di specifiche cellule motorie, tutto questo ha un suo margine di assurdità davvero elevato.

Concludendo se la “teoria specchio” si basa sugli studi con brain neuroimmaging, e i software delle varie fRMI si sono mostrati inaffidabili, la “teoria specchio” non ha per il momento alcun fondamento scientifico, almeno dal punto di vista della psicologia scientifica, per le altre discipline: pedagogia, filosofia, biologia, etologia, medicina, che sono gli attuali ricercatori (le lauree degli attuali ricercatori) facenti parte dell’equipe sulla ricerca dei neuroni specchio, i fondamenti possono anche esserci, ma questo potrebbe essere un esempio di interdisciplinarità non corretta in quanto è assente la necessità di avere dal nucleo forte di pertinenza all’oggetto di studio su cui si fa ricerca, cioè ci dovrebbe essere un numero congruo di psicologi nell’equipe, ma formati da psicologi e non da non psicologi (vedi problema delle LM i cui docenti con laure in psicologia sono il 20%).

 

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La teoria psicologica attorno i neuroni specchio, decadentismo culturale?

d810c92555.pngAttorno al fenomeno dei neuroni polifunzionali, chiamato “neuroni specchio” e evidenziato nel setting sperimentale di ricerca sui macachi, da Giacomo Rizzolati, alla fine degli anni ’80, si sono aggregati diversi studiosi del comportamento: pedagogisti, biologi, medici, ma pochissimi psicologi, i quali hanno portato contributi teorici a sostegno della “teoria specchio”.

 

Andrebbe qui fatta una considerazione sull’adeguatezza del termine “specchio” per descrivere il fenomeno della polifunzionalità neuronale; che a propongo in termini metaforici: per esempio la pelle è un tessuto “polifunzionale”, ha funzione di protezione, di omeostasi, di sensibilità nervosa: tattile, dolorifica, termica…, eccetera.

Immaginiamo che dei ricercatori abbiano notato che la pelle con l’esposizione al sole cambia colore e da quel momento abbiano continuato ad osservare solo quel fenomeno, e abbiano denominato la loro scoperta: la scoperta del “tessuto colore”, poi immaginiamo che abbiano molto pubblicizzato la loro scoperta e che tutti abbiano iniziato a parlare del “tessuto colore”. Poi immaginiamo che a livello accademico si sia formato un gruppo di studio: gli antropologi hanno portato le loro teorie etniche, i biologi le loro teorie genetiche, i sociologi le loro teorie sociologiche sull’integrazione , e insieme abbiano creato un’equipe di fama mondiale che studia il “tessuto colore”, con pubblicazioni su pubblicazioni sull’evidenza scientifica che la pelle cambia colore a secondo se viene esposta o meno alla luce solare.

In questo caso i dermatologi verrebbero espropriati della loro autorevolezza scientifica, in campo dermatologico, esattamente come lo sono stati gli psicologi, dalla realtà parmense, dove per esempio la LM creata attorno alla “teoria specchio” ha solo il 20% di docenti con laurea in psicologia.

Per tornare alla metafora del “tessuto colore” si creerebbe un corso di laurea centrato sulla scoperta del tessuto colore, con nuovi laureati in dermatologia convinti che la pelle abbia come unica caratteristica quella di cambiare colore, le conoscenze dei vecchi dermatologi verrebbero etichettate come superate e vecchie, e le nuove semplificazioni sulla pelle come “tessuto colore” verrebbero considerate come nuova scoperta scientifica che modifica radicalmente il precedente modello dermatologico polifunzionale.

Non sarebbe questa una forma di decadentismo culturale? Come è stato il manierismo rinascimentale, il neoclassicismo veneto, il periodo rococò per fare degli esempi estetici.

 

Quindi che dai neuroni specchio, si sia approdati a teorie sull’empatia, sembra sia più risonante con il termine “specchio” piuttosto che con il fenomeno sul polifunzionalismo neuronale osservato: dell’elettrodo conficcato nel cervello del macaco, che suona sia che il macaco mangi sia che il macaco osservi mangiare, da ciò si è arrivati: a pensare che anche affetti e emozioni siano di origine motoria, perché per esempio l’espressione emotiva del viso (Eckman) richiede la contrazione o meno di alcuni muscoli facciali, ma tutto ciò è eccessivo, tanto più se si tentano dei collegamenti con soggetti autistici che hanno una espressività mimica minore, basta pensare agli studi fatti sui soggetti che hanno una cultura in cui le emozioni vengono più raramente espresse con il viso (cinesi) , i soggetti affermavano di avere una ricca vita emotiva, questo fa capire la paradossalità del tentativo riduzionista dei fautori della “teoria specchio”.

Concludendo: il fenomeno accademico “dei neuroni specchio” secondo cui tutto: emozioni, affetti, cognizioni, comportamenti … girerebbe attorno al “sistema motorio” è a mio parere eccessivo e senza fondamento, esclude parti importanti dell’attività psichica come: simbolismo, attività onirica, rappresentazione cognitiva basata su funzioni mentali limitate (memoria, attenzione..) , astrazione, riflessione etica, mentalizzazione…

Il rischio è che venga esaltata e accreditata e diventi di moda, una qualche forma di “psicoterapia motoria” che annulla la capacità introspettiva, simbolica, critica, e di astrazione dell’individuo, infantilizzando l’adulto, infantilizzazione che è ciò che vorrebbero i sostenitori dello spostamento di tutto il potere sociale sull’attuale sistema di gestione economica a livello internazionale (globalizzazione).

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Validità dell’indagine dei neuroni specchio sugli uomini con fMRI.

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Spesso i teorici dei neuroni specchio utilizzano per validare la loro teoria, studi con risonanza magnetico funzionale fMRI (Functional Magnetic Resonance Imaging), tale sistema viene utilizzato con il tentativo di rafforzare e avvalorare la teoria dei neuroni specchio dopo le note sperimentazioni sui macachi.

In sintesi l’fMRI consiste nel sottoporre la persona a un forte campo magnetico statico, che causa l’allineamento degli spin dei protoni (cariche elettriche degli atomi), i quali si allineano parallelamente o antiparallelamente, questo perché gli spin protonici iniziano a ruotare sul proprio asse. Fornendo energia a livello atomico alla “stessa frequenza” (risonanza) otteniamo che dopo l’impulso dato, i protoni tenderanno a tornare allo stato iniziale (questa variazione è ciò che si rileva e interpreta).

Tramite una bobina si misura la magnetizzazione del piano perpendicolare, al campo magnetico principale, relativa un solo tipo di atomo, per esempio l’ossigeno, (ma si può fare anche per altri atomi, idrogeno, sodio, fosforo) poi tramite un software si traduce il segnale ricevuto in immagini che sono il risultato di “una media del fenomeno misurata in “x” tempo”.

Nel caso la misurazione riguardasse l’ossigeno avremmo come immagine visiva sul monitor, l’aumento o la diminuzione del flusso del sangue ossigenato, anche di piccoli vasi sanguinei (capillari) per il prevalere dell’atomo di ossigeno legato all’emoglobina (più ossigeno più attività rilevata), ma è chiaro che l’ossigeno è un componente molecolare anche di altri tessuti diversi dal sangue.

L’assunto è che dove viene richiamato più ossigeno dev’esserci una maggiore attività neuronale, quindi dove c’è più flusso sanguineo c’è più attività “elettro-neuronale”(potenziale d’azione), quindi più attività cognitiva specifica, assunto discutibile.

In realtà il sangue ossigenato, viene richiamato anche per altri motivi, infiammazione, riparazione dei tessuti, crescita neuronale e in tutti i processi metabolici in genere (sintesi proteica, formazione o liberazione dell’energia cellulare) quindi non solo in caso di attivazione neuronale (potenziale d’azione).

Anche si rilevasse la “magnetizzazione” di altri atomi, sempre di misurazione indiretta si tratta, quindi questo non ci dice nulla della specifica attività del neurone: depolarizzazione? Metabolismo? Plasticità neuronale?

E poi a quale fine? Quello di inventare una mappa di funzioni cerebrali per tornare a una sorta di frenologia ottocentesca? E’ questo in modo da far credere di aver dimostrato la localizzazione dei neuroni specchio, e la loro funzione specifica magari una sorta di attivazione dell’empatia in area F5?

Ma com’è possibile tutto questo se ad oggi il modello teorico più sostenibile, di interpretazione del funzionamento neurale, è quello dei “circuiti/reti neurali”?

Perché tornare ancora alla vecchia idea delle aree specifiche per determinate specifiche funzioni, solo per affermare la teoria dei neuroni specchio in modo frenologico?

Molto più semplicemente, il fenomeno osservato chiamato “neuroni specchioriguarda una già nota “polifunzionalità” neuronale, che di per sé spiega come non si possa intendere il funzionamento del cervello in termini di “specifiche aree= specifiche funzioni”, ma solo in termini di “circuiti neuronali” attivanti o disattivanti il propagarsi dell’impulso neuronale, senza alcuna specificità anatomica o biochimica, per quanto riguarda la correlazione ideativo-funzionale , in altre parole né il “il pensiero” né l’attività emotiva, né l’attività affettiva (empatia), hanno una qualche attivazione di una qualche specifica area.

Diverso è il funzionamento neuro-vegetativo, ormonale, immunologico, che non va confuso con il funzionamento ideico-affettivo-emotivo, pur avendo indubbie influenze reciproche.

Inoltre non va sottovalutato che la rilevazione dei segnali fMRI, non è accurata quanto dovrebbe per misurare dei tempi di variazione in millesimi di nanosecondi, che sono i tempi di trasmissione dell’impulso nervoso.

Sono stati dimostrati anche non validi (falsificabilità) e non attendibili, la maggior parte dei modelli teorici su cui si basa la risonanza magnetica funzionale, a causa della sua enorme imprecisione.

Quindi se già il metodo utilizzato sui macachi da: Rizzolati, Gallese, Fogassi e il gruppo di ricercatori pro “neuroni specchio” di Parma, ha dubbia scientificità a causa della sua eccessiva invasività e imprecisione, come è possibile dimostrare la validità degli assunti circa la teoria dei neuroni specchio, attraverso la fRMI sugli uomini, tecnica d’indagine non adeguata per rilevare l’attività neuronale di specifiche funzioni.

L’errore epistemico di fondo è sempre lo stesso: costruire o validare teorie in base allo strumento utilizzato, la fRMI mi rileva solo aree a maggiore concentrazione di un atomo (spin protonici), ma non rileva l’attivazione prodotta dai collegamenti dei neuroni fra loro (potenziali d’azione).

Metaforicamente è come se avessi uno strumento che mi fa una foto satellitare di laghi e mari sulla crosta terrestre, e questo mi portasse a una teoria di “autoproduzione locale di acqua” per spiegarne la formazione, ignorando, i corsi d’acqua che li collegano, gli eventi climatici (pioggia), la forza di gravità…, solo perché la foto satellitare non li può rilevare.

L’fRMI resta di indubbia validità per rilevare l’estensione o meno di alcuni gravi processi neuropatologici, per esempio l’estensione di una emorragia, l’estensione di una necrosi dovuta all’occlusione di un vaso, il riassorbimento o meno di liquidi dovuti a processi infiammatori e controllarne il processo di guarigione.

Concludendo la pretesa di poter validare la teoria dei neuroni specchio attraverso studi condotti sugli uomini con risonanza magnetica è senza dubbio senza fondamento.

P.s. L’obiettivo di questo blog è di tipo divulgativo pertanto i termini scientifici non sempre sono appropriati in quanto adattati alla comprensibilità di tutti (spero).

8 luglio 2016 fMRI, 15 anni di ricerche sul cervello da rifare
Un errore nei software usati per gli studi di risonanza magnetica funzionale potrebbe invalidare qualcosa come 40.000 articoli scientifici che si basano su questa tecnica di imaging.

http://www.focus.it/comportamento/psicologia/15-anni-di-ricerche-sul-cervello-da-rifare

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Regolamentazioni europee e democrazie nazionali

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Dal punto di vista psicosociale, possiamo distinguere l’organizzazione sociale essenzialmente in due gruppi:

  • una organizzazione sociale basata su regolamenti svincolati dalla necessità di essere coerenti con principi etici e ideali collettivi, e
  • una organizzazione sociale basata su principi etici, e ideali collettivi condivisi (uguaglianza, solidarietà, libertà) formalizzati in principi costitutivi (es Costituzione italiana) da cui derivano legislazioni e regolamenti coerenti ai principi costitutivi.

Le due modalità sono in un certo senso concorrenti e nella realtà si trovano comportamenti sociali che affermano la “modalità regolamentativa”, dichiarando intenti pragmatici che il più delle volte portano a forme governativo-amministrative autocentrate che tolgono potere decisionale alla collettività, o comportamenti sociali che affermano la “modalità etica”, basata su principi di tutela del potere decisionale della collettività.

La propensione per la modalità regolamentativa o etica è insita nella cultura e nella personalità del soggetto, il quale afferma la propria visione aggregandosi ad altre persone simili a lui o creando sistemi politici che predispongono questo tipo di aggregazione.

Nella realtà sociale attuale è evidente il prevalere della modalità regolamentativa, la quale non si è imposta con velocità e tramite forme di violenza militare autoritaristica (dittatura) ma si è insinuata nella cultura dei singoli; a mio parere molto lo possiamo attribuire al web, il web non avendo una storia propria, ha attivato al suo interno una modalità regolamentativa per gestire situazioni che via via si andavano a creare (regolamenti dei siti), quindi non di certo con intenzioni autoritaristiche, l’utilizzo sempre più frequente del web ha fatto si che le persone acquisissero una “modalità regolamentativa” nella loro personalità, in particolare i cosi detti “nativi digitali”.

Tale “cultura regolamentativa” si è estesa anche politicamente, in particolare dove non era storicamente presente una cultura etica (etica basata sui principi storici di libertà, uguaglianza, solidarietà) quindi a livello della neonata Comunità Europea. Oggi in nome di una “cultura regolamentativa europea” gli stati membri sono obbligati a ratificare regolamenti che vanno in evidente contrasto con le proprie legislazioni di natura etica.

Considerando, il principio di aggregazione fra individui con personalità simile, questi gruppi di persone con “cultura regolamentativa” stanno ottenendo maggiore potere sociale, e il fenomeno di trasformazione dell’organizzazione sociale da “etico” a “regolamentativo” sta diventando sempre più imponente, favorito anche da una certa propensione giovanilistica in politica.

Tanto è vero che è in atto una modifica costituzionale da parte di un Governo privo di vere e reali legittimazioni democratiche.

Infatti per propria natura la “modalità regolamentativa” non rispetta la modalità decisionale collettiva, né la coerenza di leggi con principi etici di natura politica (Costituzione italiana).

Tutto questo è facilmente costatabile ponendo attenzione all’uso del linguaggio attuale, i termini come “principi etici”, “coerenza legislativa”, “potere decisionale collettivo”, “diritti della persona”, stanno per essere sostituiti da “regolamenti”, “ratificazione di regolamenti ”, “multe per inottemperanza ai regolamenti”, “espropri per inottemperanza al contratto (es banche)” , “obblighi per messe a norma regolamentate”, “certificazioni di messe a norma regolamentate”, “multe per assenza di adeguamento alla regolamentazione”.

A questo punto sarebbe ingenuo pensare di poter essere politicamente  inattivi,  per il solo fatto che “la modalità etica” esiste da 70 anni, continui ad esistere, in quanto storicamente è evidente che si possa passare da una modalità all’altra tranne nelle organizzazioni collettive che hanno impedito il capovolgimento dalla modalità etica a quella regolamentativa: U.S., Gran Bretagna, Islanda.

La “maschera” con cui tale modalità regolamentativa riesce ad insinuarsi ed a imporsi è quella del pragmatismo centrato sul presente.

Il pragmatismo centrato sul presente (qui ed ora)  ignora il processo di causalità e l’effetto diffusivo nel tempo su altri soggetti e realtà, in altre parole non ha etica, il “soggetto regolamentativo” è disinteressato al fatto che la sua decisione, anche se da effetti concreti in tempi brevi, possa ledere nel tempo  l’organizzazione e gli interessi di altri soggetti o altre organizzazioni (es biologica ambientale).

Il “soggetto regolamentativo”, ha prevalentemente una modalità pulsionale, e una personalità infantile,  è molto seduttivo, il suo bisogno di fondo è ottenere il piacere di una conquista, come il bambino che riesce ad imporsi sugli adulti manipolando regole che lui stesso inventa, il “soggetto etico” ha una personalità più adulta,  è  persuasivo, il suo bisogno di fondo è realizzarsi all’interno di una realizzazione collettiva.

Ora per esemplificare all’interno di uno stesso gruppo politico, giusto per non apparire ideologici, potremmo immaginare nel primo caso come “soggetto regolamentativo” Renzi e nel secondo caso “etico, persuasivo” Fassino/Bersani.

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