Monthly Archives:Gennaio 2015

Ansiolitico-antidepressivo, categorie commerciali che non evidenziano i veri effetti degli psicofarmaci.

Tutti voi possono fare un semplice esperimento, assumendo alcolici, gli alcolici agiscono sui recettori GABA, gli stessi su cui agiscono le benzodiazepine: cui, i medici, attribuiscono un effetto ansiolitico, ovvero ridurrebbero l’ansia, in altri termini eliminerebbero l’emozione della paura.

Quindi assumendo alcolici dovremmo notare su noi stessi la scomparsa di questa emozione negativa: la paura, ma non è così, abbiamo effetti sia eccitatori che inibitori su funzioni molto differenti fra loro: umore, ideazione, pulsione, relazione interpersonale ed emozioni.

Inizialmente l’effetto psicoattivo dell’alcool produce effetti sull’umore e non sulle emozioni negative, la maggior parte delle persone possono costatare euforia, ma in un alcuni casi può produrre malinconia, e già qui si evidenzia che l’effetto può essere soggettivo e la stessa sostanza chimica può produrre effetti sull’umore sia in senso positivo che negativo.

Aumentando il dosaggio l’effetto psicoattivo dell’alcol sembra produrre effetti ideativo-cognitivi, una persona può avere una visione ottimistica di sé, in alcune persone aumenta la propensione a parlare di più in altre a parlare di meno, questo è l’effetto ricercato da alcuni artisti per migliorare le loro performance.

Aumentando ancora il dosaggio l’effetto sembra esserci a livello delle pulsioni, alcuni possono diventare aggressivi, ha in un certo senso un effetto disinibente (quindi in questo caso attivante e non inibente come sostengono i medici ovvero che le sostanze che agiscono sul GABA abbiano azione inibente sul snc) a livello pulsionale, si può scambiare l’aumento dell’aggressività per aumento di coraggio quindi minore paura, ma non è così non è un effetto sulle emozioni ma sulle pulsioni.

In alcune persone l’alcool può favorire l’emozione della rabbia, o altre emozioni, quindi un interferenza sui recettori GABA può avere delle risposte emotive differenti a secondo dei soggetti.

Aumentando ancora il dosaggio si ha sedazione del dolore fisico, rilassamento muscolare, difficoltà nella coordinazione motoria, la prima a vedersi riguarda la produzione di linguaggio anche perché il linguaggio necessita di movimenti fini dell’apparato vocale fino ad avere un vero e proprio effetto ipnotico, che è quello che si osserva anche nei cosi detti ansiolitici, i quali favoriscono l’addormentamento.

L’uso cronico di alcol porta alla sindrome di Korsakov, ovvero demenza, come è stato accertato anche per le benzodiazepine: https://carlafoletto.wordpress.com/2015/01/19/le-benzodiazepine-causano-demenza/.

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Concludendo l’azione chimica degli psicofarmaci non solo non può essere selettiva ma produce effetti che con sostanze naturali come l’alcol si avrebbero solo con un’intossicazione acuta, come per esempio la sedazione e l’effetto ipnotico.

Gli effetti di sostanze chimiche a livello del cervello coinvolgono una vasta area di funzioni psichiche che riguardano l’umore, l’ideazione, la pulsione e il sonno (funzione vitale), e non è possibile attribuire uno specifico effetto es: ansiolitico, antidepressivo, in quanto i recettori e i neurotrasmettitori su cui agiscono gli psicofarmaci, sono distribuiti su circuiti neuronali differenti che sostengono funzioni cerebrali differenti, è evidente l’intento commerciare nel definire un farmaco ansiolitico piuttosto che antidepressivo, modalità che tra l’altro crea un aspettativa e pertanto può funzionare da “placebo” a prescindere dall’effetto reale del farmaco. https://carlafoletto.wordpress.com/2015/01/18/la-soggettivita-prevale-sulla-chimica-del-cervello-ebbene-si-il-crollo-di-un-mito/

I cosi detti ansiolitici e antidepressivi in realtà sono dei sedativi o degli eccitanti, non hanno alcuna azione selettiva, producono un effetto sul cervello come lo produrrebbe una qualsiasi sostanza psicoattiva (droghe comprese) ma non possono curare nulla in quanto i processi che sono alla base delle funzioni cerebrali sono processi prevalentemente di tipo bio-fisico (circuiti neuronali su cui vi sono potenziali di azione o meno) e non processi biochimici (per esempio quelli indotti da psicofarmaci).

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Gli psicofarmaci riducono l’aspettativa di vita?

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Secondo uno studio pubblicato sul Bmj, dall’autore Stephen Kisely, epidemiologo e docente universitario presso Western Australia e Dalhousie University in Canada, studio svolto tra il 1985 e il 2005:

«Il tasso di mortalità:  “più elevato associato alle malattie mentali” è stato ben documentato focalizzandosi sull’elevato rischio di suicidio, anche se l’80% della mortalità dipende da disturbi fisici, come le malattie cardiovascolari e respiratorie»

Inoltre l’aspettativa di vita nei pazienti psichiatrici “è minore di circa 15 anni rispetto la popolazione e più precisamente mostra un divario non trascurabile tra le persone sane e malati psichiatrici: “dei pochi studi svolti, alcuni riportano una differenza di 14 anni per i maschi e sei per le femmine, e altri di 20 anni per gli uomini e 15 per le donne.”

Ma ciò che colpisce davvero è l’aspettativa di vita dei pz psichiatrici rispetto ai soggetti sani: quando avviene il contatto con i servizi psichiatrici e cioè anziché ridursi, la mortalità aumenta da 13,5 a 15,9 anni per i maschi e da 10,4 a 12 anni per le femmine.

Inoltre, l’80% delle morti in eccesso tra i pazienti psichiatrici, dipendono da malattie fisiche, tra cui quelle cardiovascolari (30 per cento verso un 20% della popolazione) e il cancro (13,5 per cento verso un 12% circa della popolazione).

Infine il suicidio, responsabile del 14% dell’eccesso di mortalità, e questo farebbe venire non pochi dubbi sulla reale efficacia terapeutica degli anti depressivi (Irving Kirsch)

Inoltre non è da trascurare che è stata osservata una relazione fra uso di psicofarmaci tipo antidepressivi triciclici, SSRI, aloperidolo, chetiapina, tioridazina, droperidolo (i cui dosaggi nei pz psichiatrici sono spesso molto alti e prolungati) e sindrome del QT lungo (che può dare aritmia fino ad arresto cardiaco) e pertanto non stupisce che nei pz psichiatrici vi sia un aumento del 10% rispetto la popolazione, di mortalità dovuta a problemi cardiocircolatori.

Potrebbe esserci anche una relazione fra aumento dell’incidenza di forme tumorali nei pazienti psichiatrici e l’assunzione di un antipsicotico come la clozapina in quanto essendo mielosoppressivo, ovvero in relazione a una diminuizione dell’efficienza del sistema immunitario, ed essendo l’insorgenza dei tumori in relazione a una scarsa efficienza del sistema immunitario, l’associazione causale è facilmente intuibile.

Concludendo: poiché il sistema nervoso con tutta probabilità modula non solo l’attività psichica (pensiero) ma anche le funzioni organiche vitali, non vitali (es: battito cardiaco, respiro, sudorazione) e le risposte immunitarie (correlazione fra stress e diminuizione dell’efficienza immunitaria), l’uso di psicofarmaci, specie se massiccio e prolungato, certamente interferisce anche sul funzionamento dell’organismo riducendo l’aspettativa di vita.

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Il cervello come una foto satellitare, Non è vero che gli psicofarmaci agiscono in modo selettivo sul cervello per esempio sostanze diverse si legano allo stesso recettore GABA, producendo effetti diversi.

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Ora prendiamo ad esempio il recettore GABA (quello su cui legano anche le benzodiazepine); in presenza di determinate condizioni il recettore GABA considerato da tutti come avente attività inibitoria sul snc, è invece in grado di determinare un eccitamento delle cellule nervose, “tramite un abbondante ingresso di cl- a livello intracellulare, da cui ne consegue che il potenziale di equilibrio dei cl- assume valori più positivi del potenziale di riposo” (Kandel 13), in definitiva lo stesso recettore può essere sia inibitorio (nel GABA più frequente) che eccitatorio (nel GABA più raro).

Inoltre i recettori GABA si legano con parecchi tipi di farmaci e sostanze psicoattive per esempio anestetici generali (gassosi o iniettabili) benzodiazepine, ipnotici, barbiturici, alcol, producendo effetti diversi che vanno dalla perdita di coscienza (anestetici) alla “presumibile”diminuizione di ansia in realtà è solo sedazione (benzodiazepine) all’induzione di sonno (zolpidem e barbiturici); tutti aumentano la frequenza di apertura del canale recettore GABA, ma producono effetti diversi, qualcuno parla di particolari sottotipi di subunità, per esempio lo Zolpidem si legherebbe a GABA A, le benzodiazepine ai GABA alfa, ma anche le “mutazioni non senso” che per esempio determinano una troncatura delle subunità alfa e gamma del recettore GABA A causano certe forme di epilessia congenita, forse si predispone con l’uso continuato di Zolpidem e benzodiazepine una malattia genetica (o qualcosa di simile) che prima non c’era?

Concludendo la principale attività del sistema nervoso è quella di integrare i messaggi (potenziali d’azione) fra le diverse alternative possibili, infatti un neurone, avendo su di sé in contemporanea migliaia di stimolazioni inibitorie ed eccitatorie, deve “decidere” se inviare o non inviare il “messaggio elettrico” la concentrazione dei neurotrasmettitori (quindi gli psicofarmaci) determina solo una inibizione o attivazione ma in modo causale, che interferisce nell’integrazione dei segnali e se interferisce in modo massiccio (alti dosaggi quindi intossicazione neuronale) inibisce interi sistemi anche quelli sani e vitali, questo non è un effetto terapeutico.

Per rendere l’idea con una metafora, il cervello è come un’ enorme rete stradale vista dall’alto di notte, si vedono scorrere segnali luminosi (i fari delle auto/potenziali d’azione) ma in realtà i segnali luminosi sono elementi complessi a livello sub atomico (motore dell’auto, carrozzeria, guidatore) e solo se giungono a destinazione producono “l’idea: sono arrivato a Roma, sono arrivato a Parigi” come noi abbiamo “consapevolezza” di: questo è rosso, quello è movimento, sento un do piuttosto che un mi… I neurotrasmettitori sono il carburante, “come stazioni per l’erogazione di carburante”, non dicono dove devono andare le auto, si mette solo la benzina per farle arrivare dove devono arrivare, gli psicofarmaci sono sostanze o come l’acqua, l’auto non parte più e il segnale si spegne (bloccano i recettori e inibiscono il potenziale d’azione es antipsicotici o ansiolitici ma anche l’alcol) o come la benzina super con 100 volte gli ottani che dovrebbe avere, (attivano i recettori es antidepressivi ma anche l’anfetamina per esempio) all’inizio fa andare l’auto più veloce ma poi si fonde il motore e comunque non hanno il potere di modificare il percorso del segnale, ovvero dove va l’auto. Ma quello che più importa sono gli incroci, che permettono ad alcune auto di passare e ad altre no, o di trasformare una zona in “zona a traffico limitato” e un’altra in superstrada (integrazione dei segnali).

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Gli psicofarmaci modificano la genetica neuronale

L’uso prolungato di psicofarmaci è in grado di modificare l’espressione genetica del circuito neuronale su cui sono situati i recettori affini allo psicofarmaco (plasticità neuronale), ma questa è terapia o gioco di compiacenze?

fonte dati (immagini) scientifici: http://xfiles.farmacia.uniba.it/farmol/didattica_web/64/argomenti/Antidepressivi.pdf

La variazione innaturale, (somministrazione di psicofarmaci), a valle (sinapsi) delle concentrazioni di neurotrasmettitori da luogo a delle modificazioni a monte (corpo cellulare) di tipo genetico, questo avviene con il trasporto assonale prima e poi a livello del corpo cellulare tramite la “regolazione dei meccanismi di trasduzione a livello citoplasmatico” psico modificagenetica

possiamo fare un esempio con gli effetti degli antidepressivi dopo somministrazione cronica

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ma non solo abbiamo una modificazione a livello dell’espressione genetica della cellula neuronale, ma abbiamo anche una modificazione: a livello di tutti i circuiti neuronali in cui i recettori sono affini al tal psicofarmaco

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questo è semplicemente un adattamento biologico del cervello alla presenza (introdotta dall’esterno) continuativa di una sostanza simile a quelle che produce esso stesso.

Ciò  da luogo, nel soggetto che assume psicofarmaci,  a un ovvia percezione di cambiamento, ora semplicemente il prescrittore/medico, dello psicofarmaco deve far in modo che il soggetto in cura attribuisca un giudizio positivo al cambiamento percepito.

Questo può accadere facilmente all’interno di un rapporto di fiducia (compliance) ma se volessimo essere obbiettivi sugli effetti terapeutici dello psicofarmaco dovremmo chiedere un parere alle persone che sono in relazione con il soggetto e non al soggetto stesso che per “dissonanza cognitiva” non può che attribuire un effetto terapeutico all’uso cronico di psicofarmaci.

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Perché in sostanza gli psicofarmaci producono segnali bio-chimici confusivi dando luogo a sospensione delle funzioni neuronali (apparente benessere) e non curando ipotetici squilibri bio-chimici

Premesso che i più autorevoli neuroscienziati (S.A. Sigelbaum-E.R. Kandel-R.Yuste) affermano questo:

  • Le cellule del sistema nervoso centrale ricevono connessioni sinaptiche da migliaia di neuroni e sono mediate da una vasta gamma di neurotrasmettitori
  • ciascun neuro trasmettitore può modificare l’attività di diversi tipi di recettori, che comprendono sia i recettori ionotropici (aprono direttamente il canale ionico) che quelli metabotropici (regolano l’attività di un canale attivando sistemi di secondo messaggio)
  • L’effetto determinato da un potenziale sinaptico eccitatorio o inibitorio, non dipende dal tipo di neurotrasmettitore liberato dal neurone presinaptico, ma dal tipo di canale ionico che viene aperto dal neurotrasmettitore nella cellula postsinaptica.

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Mentre le aziende produttrici di psicofarmaci affermano di avere evidenze scientifiche sulla selettività dei loro prodotti, ovvero che la tale molecola andrebbe ad aprire o chiudere lo specifico canale che causa lo specifico disagio psichico.

Appare evidente che questo non può essere; le aziende produttrici di psicofarmaci affermano cose non scientifiche per un loro proprio interesse infatti: le neuroscienze dimostrano invece che la tale molecola può avere “funzioni” diverse e che l’attività cerebrale ha luogo in base all’attivazione o meno di determinati circuiti e non in base alla concentrazione o meno di determinati neurotrasmettitori, buttati a casaccio nel torrente sanguigno, le cui molecole chimiche proposte dalle aziende farmaceutiche (psicofarmaci) assomigliano e si legano a caso ai diversi recettori sinaptici presenti in tutto il sistema nervoso centrale.

Ne consegue che gli psicofarmaci possono avere solo un effetto indistinto su tutte le funzioni neuro-cerebrali, anche sulle funzioni sane e necessarie come quelle neuro vegetative (sistema cardiaco, respiratorio ecc) .

Ma la cosa più squallida è che le aziende produttrici di psicofarmaci sono spalleggiate da medici i quali non perdono l’occasione per censurare un’informazione scientifica corretta anche tramite l’espulsione di iscritti sul web, a comunità medico-scientifiche di tipo divulgativo, in questo caso anche il web risulterebbe uno spazio pilotato da interessi commerciali e non libero.

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Le malattie mentali si possono ereditare? E’ scientificamente dimostrato che questo non è possibile.

Le malattie si possono ereditare? Assolutamente no, al massimo si possono ereditare alcune, ma poche, caratteristiche cognitive ovvero lo stile cognitivo: propensione x la logica, la creatività, la musica, aspetti che però hanno la necessità di essere esercitati (sono presenti in potenza) per poter essere costatati nel soggetto (fenotipo).

Da quando la strumentazione scientifica si è resa più potente e sofisticata, lo studio del genoma umano sta ampliando le conoscenze umane nel campo della genetica, ma come in ogni novità scientifica, si assiste a fondamentali problemi di natura epistemologica, il genoma umano viene considerato come qualcosa di fisso (cosa che non esiste in biologia) che si trasmette all’infinito in modo immutabile, questo da luogo ai soliti pregiudizi scientifici generati da certo antropocentrismo e bisogno di controllo degli scienziati che si atteggiano con superiorità, divulgando le loro interpretazioni, ponendosi come dei “principi della scienza” che tutto sanno, nessuna spiegazione è dovuta, facendo sentire chi non è all’interno della loro comunità ignorante e pertanto obbligato a fidarsi e a credere alle interpretazioni scientifiche che loro danno.

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Per quanto riguarda lo studio della genetica del cervello si conoscono i geni che permettono ai neuroni di produrre proteine che servono per la propagazione del potenziale di azione (neurotrasmettitori), ma è anche altrettanto chiaro che non sono i neuro trasmettitori ad essere responsabili delle “funzioni” del cervello, esse avvengono in virtù del circuito neuronale su cui si propaga uno stimolo neuronale, circuito che può avere diversi tipi di neurotrasmettitori, in altre parole abbiamo un sistema molto complesso di miliardi di interazioni neuronali del tipo: “eccitazione” – “inibizione” / “sinapsi chimiche” – “sinapsi elettriche” che permettono la tale emozione, la tale ideazione, il tale sentimento in relazione a: effetti interni o esterni al soggetto.

Ma quello che si sta divulgando da parte di alcuni scienziati e psichiatri, presumibilmente con il sostegno delle aziende produttrici di psicofarmaci, è che esisterebbero degli squilibri chimici dovuti a malattie mentali ereditarie che producono disagio mentale. Il che giustifica l’uso di differenti psicofarmaci contemporaneamente

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Questo è assolutamente impossibile perché uno stesso neurotrasmettitore può avere un’ azione eccitatoria o inibitoria, anche sullo stesso bottone sinaptico, quindi l’attività neuronale (funzioni cerebrali e contenuto del pensiero) avviene a secondo del circuito neuronale e non a secondo del tipo di neuro trasmettitore e quindi  è evidente che nessuno psichiatra è in grado, una volta che diversi psicofarmaci sono nel torrente sanguigno, di fare in modo che agiscano esattamente dove vi sarebbero i presunti squilibri chimici(causa chimica) (Kandel ed altri 2014).

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Inoltre non abbiamo evidenze scientifiche (tranne in malattie di tipo neurodegenerativo per es: Parkinson dove si hanno problemi motori e non ideativi) che dimostrino come il genotipo (ciò che i genetisti starebbero mappando) produca il tale “fenotipo” ovvero espressione del tale genotipo in termini di patologia ereditaria che produca il tale disagio mentale.

Abbiamo solo statistiche generiche che parlano di probabilità di ammalarsi di schizofrenia  sotto l’8% fra parenti (quindi rientra nei possibili eventi casuali) fino a un 17% nei gemelli dizigoti e 48% nei gemelli omozigoti, ma le gravidanza gemellari sono solo l’1% e quelle omozigote lo 0,25% di tutte le gravidanze, dato che pone il 48% della probabilità nei gemelli omozigoti di ammalarsi di schizofrenia negli eventi CASUALI.

E comunque parlare di probabilità (e non di certezza/causa deterministica) per esempio di ammalarsi di schizofrenia del 48% nei gemelli omozigoti non ci dice:

  1. quali sono i criteri di valutazione per la diagnosi di schizofrenia e se l’obiettività oggettività di questi criteri è valida.
  • Mentre abbiamo avuto delle ricerche che dimostravano che gli psichiatri non erano in grado di distinguere una simulazione di schizofrenia e che il solo andare a una visita psichiatrica dicendo che si sentivano le voci senza manifestare altri comportamenti conduceva lo psichiatra a fare una diagnosi di schizofrenia, che non veniva contestata poi da nessun altro psichiatra.
  1. la descrizione del campione di omozigoti che avrebbero portato a questa affermazione, ovvero: quanti erano? Erano stati separati dalla nascita in modo da escludere l’influenza socio ambientale? A quale etnia o popolazione appartenevano?
  • Mentre abbiamo avuto delle ricerche nel campo dell’etno-psichiatria, che dimostrano che la diagnosi di schizofrenia (incidenza e prevalenza) varia moltissimo a secondo delle zone geografiche.
  1. L’indice statistico di casualità/causalità, ovvero se i gemelli omozigoti fossero stati 10 su una popolazione mondiale di 8 miliardi la probabilità che si tratti di un evento casuale è alta.

Inoltre dev’essere chiaro che:

Da decenni sono state dimostrate modificazioni del DNA temporanee quindi il DNA non è fisso:

(…) Si distingue l’adattamento di tipo genetico, stabile e trasmissibile da un individuo alla prole, dall’adattamento di tipo fisiologico, non ereditabile, le cui modificazioni sono reversibili e avvengono in modo relativamente veloce. (…) http://www.treccani.it/enciclopedia/adattamento_(Universo_del_Corpo)/

Da decenni è stato dimostrato che una stessa sequenza genetica può avere differenti espressioni genetiche.

Epigenetica: (…) Termine (originariamente coniato per descrivere come l’informazione genetica viene utilizzata durante lo sviluppo per produrre un organismo) oggi usato per descrivere tutte quelle modificazioni ereditabili che variano l’espressione genica pur non alterando la sequenza del DNA. Con termini più tecnici, dunque, si definiscono epigenetici quei cambiamenti che influenzano il fenotipo senza alterare il genotipo(…)

http://www.treccani.it/enciclopedia/epigenetica_(Enciclopedia-della-Scienza-e-della-Tecnica)/

Inoltre è’ stata invece ampiamente dimostrata la plasticità neuronale in relazione all’apprendimento (e alla psicoterapia), ovvero la capacità del cervello se: stimolato (dall’ambiente esterno sia di tipo relazionale che di tipo ambientale), di creare nuovi prolungamenti neuronali (per lo più dendriti) che variano le connessioni e quindi I CIRCUITI NEURONALI responsabili di tutte le funzioni mentali.

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Concludendo non vi è alcuna dimostrazione scientificamente valida che “la chimica del cervello” e “la genetica” siano fattori determinanti per un disagio mentale (es ansia, depressione, angoscia) in quanto non incidono sul TIPO di ideazione (i contenuti dei pensieri) uno psicofarmaco può bloccare la possibilità di avere dei pensieri (demenza) o aumentare l’eccitabilità dei neuroni (impulsività-aggressività) ma non può “curare” modificando il contenuto dei pensieri. Solo il linguaggio e l’esercizio possono modificare i contenuti cognitivi di un soggetto (addestramento) oppure insegnare strategie per produrre un “corretto pensare-egosintonico” (psicoterapia).

E’ invece evidente l’interesse economico che giace dietro alla vendita di psicofarmaci, i quali causando dipendenza e cronicizzazione assicurano un introito costante per tutta la durata della vita del soggetto.

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Un mondo di pazzi perchè? Ipotesi teorica.

Assodato che gli psicofarmaci eccitanti o inibitori modificano il comportamento di una persona, ora cerchiamo di capire come modificano lo stile di una relazione. Essenzialmente abbiamo due aspetti: l’adattamento e il coping. Nella relazione se vogliamo comunicare e socializzare con l’altro ci dobbiamo adattare (empatia).

Può essere un adattamento bidirezionale (empatia reciproca) oppure unidirezionale (ci mettiamo nei panni dell’inerlocutore); ma quando ci adattiamo in direzione unidirezionale? Questo avviene quando l’altro mantiene fisso il proprio atteggiamento/comportamento, come fanno le persone che assumono psicofarmaci, in quanto sono condizionate da meccanismi bio – chimici.

Ora facciamo l’ esempio di un altro adattamento forzato non bidirezionale: se una persona ha una reattività mentale bassa (e non entro nella qualità dei suoi contenuti cognitivi che sono altra cosa, ovvero una può avere reattività alta e qualità dei contenuti bassa e viceversa) dobbiamo adattare la nostra reattività alla sua, lei non potrà mai aumentare la sua reattività perché la sua natura non lo permette.

Analogamente se una persona è sedata e ha una reattività mentale lenta, chiunque sia in relazione con lei deve rallentare la sua reattività, se il tempo di relazione è lungo, per esempio otto ore di lavoro, entra in campo un processo di abituazione, abitudine a lenta reattività mentale.

Ora facciamo un altro esempio, se siamo con una persona impulsiva/aggressiva e stiamo per così dire percorrendo la stessa strada per evitare che si comporti in modo impulsivo nei nostri confronti dobbiamo imitarla un po’ (coping), così questa persona sentendoci simile a lei non ci vivrà come un problema, se la “strada è lunga” vi sarà lo stesso fenomeno dell’abituazione comportamentale (chi va con il lupo impara ad ululare).

Analogamente una persona che assume antidepressivi sarà più impulsiva rispetto a quando non li assumeva e attorno a lei si genererà un gruppo di persone impulsive. Effetto coping.

Allora che si vede? Nelle famiglie con persone che assumono psicofarmaci ci sarà un graduale cambiamento di comportamento anche nei familiari e per propagazione anche un cambiamento nei luoghi di lavoro in relazione all’autorevolezza dei ruoli sociali che questi ricoprono, più sono autorevoli più persone influenzano.

In sintesi alla quantità/ consumo di psicofarmaci nella popolazione dobbiamo aggiungere l’effetto adattamento coping secondo uno schema propagativo amplificante, in quanto l’effetto degli psicofarmaci produce comportamenti fissi a cui gli altri devono obbligatoriamente adattarsi.

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il 10% dei ragazzi prende ansiolitici e antidepressivi ….- fonte grafico La repubblica

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Le benzodiazepine causano demenza.

Uno studio francese pubblicato su British Medical Journal afferma che l’uso regolare di benzodiazepine (la prima benzodiazepina fu scoperta nel 1955) favorisce notevolmente il rischio di sviluppare la malattia di Alzheimer.

La correlazione è stata evidenziata dall’INSERM, l’istituto nazionale francese della salute e della ricerca medica, condotto presso l’Université de Bordeaux dove è è stato dimostrato che le benzodiazepine aumentino significativamente il rischio di sviluppare la malattia di Alzheimer: malattia neurodegenerativa, che nei paesi occidentali colpisce moltissimi anziani con un’indidenza crescente negli ultimi 40 anni.

Sophie Billioti Gagee, è la ricercatrice che ha redatto l’articolo scientifico.

Lo studio ha preso in considerazione quasi 9.000 persone di età superiore a 66 anni, seguiti per 6-10 anni, dimostrando come l’assunzione giornaliera di psicofarmaci per diversi mesi aumenti il rischio di sviluppare una malattia neurodegenerativa :

  • una volta al giorno per 3 – 6 mesi aumenta il rischio di malattia di Alzheimer del 30%
  • una volta al giorno per più di sei mesi aumenta il rischio di Alzheimer del 60-80%.

E’ utile ricordare che i neuroni che popolano il snc utilizzano due principali neurotrasmettitori l’amino L glutammato che è il principale neurotrasmettitore neuro eccitatorio e il gaba il principale neurotrasmettitore inibitorio, le benzodiazepine agiscono potenziando l’effetto dell’acido γ amminobutirrico (GABA) , ovvero potenziano l’effetto inibitorio.

Inoltre il nostro cervello crea ed estingue in continuazioni collegamenti nervosi (prevalentemente dendriti) questo fenomeno è chiamato plasticità neuronale.

I collegamenti inutilizzati vanno più facilmente incontro a retrazione scollegandosi dalla connessione, pertanto appare logicamente conseguente che una inibizione sinaptica prolungata in modo artificiale possa condurre a perdita di connessioni e atrofia cerebrale, ciononostante la prima argomentazione che sarebbe emersa di tipo giustificatorio è che l’ansia sarebbe potuta essere un primo segno della malattia a cui andrebbero attribuite esclusivamente cause genetiche.

Fonte: British Medical Journal,(The BMJ) BMA House, Tavistock Square, London WC1H 9JP, UK

http://www.bmj.com/content/349/bmj.g5205

Le benzodiazepine (BDZ) , classe di psicofarmaci costituita essenzialmente dagli ansiolitici e dagli ipnoinducenti, comunemente noti come sonniferi, sono, a ragione o a sproposito, tra i farmaci più usati al mondo: a titolo esemplificativo in Francia il 30% della popolazione sopra i 65 anni fa uso di benzodiazepine. La percentuale è intorno al 20% in Canada e Spagna. Negli Stati Uniti ed in Gran Bretagna le percentuali sono più basse, ma restano comunque elevate. In Italia un rapporto del 2013 rileva che su mille abitanti ogni giorno 54 assumono dosi standard di BDZ, intendendo per dose standard il dosaggio corretto.
La prevalenza della malattia di Alzheimer, che rappresenta il 50% circa di tutte le demenze, è, nella popolazione ultrasessantacinquenne del 4.4% circa nei paesi industrializzati, con valori che vanno dallo 0,7% nella fascia 65-69 anni al 20% degli ultranovantenni.

http://www.prontointerventopanico.it/benzodiazepine-e-alzheimerconnessioni/

ma c’è anche chi ipotizza che l’ansia e l’insonnia possano rappresentare i primi sintomi tipici dell’insorgenza del morbo d’Alzheimer.

http://salute.ilgiornale.it/news/20219/abuso-benzodiazepine-aumenta-rischio-alzheimer/1.html

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La soggettività prevale sulla chimica del cervello? Ebbene si: il crollo di un mito.

A 5 anni dall’uscita del decennale lavoro scientifico di Irving Kirsch divulgato con il titolo “The Emperor’s New Drugs” (e in Italia con un titolo più morbido: I farmaci antidepressivi il crollo di un mito)si moltiplicano i dati scientifici a che confermano la sua ipotesi.

Di cosa si tratta? Irving Kirsch è un docente dell’Harvard Medical School negli U.S. e dell’Università di Plymouth del U.K., ha pubblicato numerosi articoli scientifici sull’effetto placebo della terapia con antidepressivi.

Ma come può essere accaduto che venissero commercializzati psicofarmaci i cui effetti dichiarati sono dubbi?

Si tratta di produzioni farmacologiche statunitensi, dove per lo più l’onere della prova scientifica è finanziato dal produttore stesso e non da un organo esterno imparziale.

Infatti Kirsch fece notare che il 75% degli studi finanziati dall’industria farmaceutica mostrava risultati favorevoli per i propri prodotti (pag 50 dell’edizione italiana).

Ma non solo Kirsch mette in dubbio la fantasiosa ipotesi dello squilibrio chimico del cervello come causa del malessere psicologico, e ne dimostra l’inattendibilità scientifica, anche molte evidenze scientifiche recenti, ci fanno capire quanto distante sia l’attuale modello medico interpretativo del sistema neuro cerebrale, dalla realtà.

Per fare un esempio è ormai consolidato che: “i segnali responsabili dell’informazione visiva sono del tutto identici a quelli che danno informazioni per esempio sugli stimoli olfattivi, ed ecco che qui incontriamo un principio chiave della funzione cerebrale: l’informazione trasportata da un potenziale d’azione non dipende dalla morfologia del segnale ma dalle vie che quel segnale percorre nel cervello” (Kandel), è poi compito del cervello stesso analizzare e decifrare il tipo di: “segnali chimici” che arrivano e le vie che essi percorrono e di trasformarli in una delle nostre sensazioni quotidiane visive tattili olfattive o acustiche.

Questo è stato dimostrato perché è possibile tecnicamente registrare gli stimoli fisici ambientali e come vengono interpretati dal cervello, figuriamoci per quanto riguardano i pensieri che “non possono essere né visti né registrati obiettivamente”!

In altre parole immaginando il cervello come se fosse una rete stradale , il colore giallo diventa in me “cosciente” perché prevale il meccanismo:

– un auto parte dalla statale x di Roma e arriva a Napoli seguendo solo quella statale x.

E non perché il tipo di auto permette solo quel tragitto, se la stessa auto facesse un altro tragitto sentirei odore di bruciato.

articolo censurato sul sito www.(medicitalia.it)

http://www.studiopsicologiamantova.it/Censura%20Carla%20Foletto%20sul%20sito%20medicitalia.it/sitoMediciItaliaCarlaFolettoVicende.htm

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