office 0376-360.278
fax 0376-360.278
cell 3402977939   www.studiopsicologiamantova.it

psicolinguistica

 

Il contributo di Chomsky (1957) fu quello di dimostrare che la teoria dell'apprendimento per stimolo risposta (comportamentismo) non poteva spiegare come un individuo impara a comprendere e a generare frasi, egli propone un apprendimento linguistico mediato da un sistema di regole (grammatica) simile alle teorizzazioni proposte dai cognitivisti (Miller Galanter Pribram -nozione di "piano")

La mente modulare

Modularità massiva e definizione logico-funzionale di architetture cognitive (M.Fenici)

Nella teoria computazionale della mente di Fodor il carattere globale ed emergente degli stati appartenenti della cognizione centrale pongono quest’ultima in forte contrasto con i moduli periferici, contraddistinti da un trattamento specifico e localizzato delle informazioni, e portano a concludere che essa non sia trattabile computazionalmente. Contro questa ipotesi si è schierata l’interpretazione massiva del modularismo mentale, secondo la quale l’intelligenza può essere spiegata attraverso il funzionamento coordinato di numerosi moduli specializzati. Sostengo che l’opposizione può essere caratterizzata nei termini di una diversa concezione della natura e del formato dei dati che in entrambe le teorie costituiscono la base dell’elaborazione sintattica dei moduli, e mi dichiaro in accordo con l’interpretazione massiva, in base alla quale le informazioni vengono elaborate a livello sub-simbolico; non credo tuttavia che questo sancisca l’inutilità di una prospettiva funzionalista nella descrizione delle architetture cognitive, suggerendo anzi che il contributo di questa sia per alcuni aspetti necessario e irrinunciabile. Abstract Fodor’s computational theory of mind raises a strong opposition between global and emergent aspects of central cognition and specific and localized processing of informations in peripheral modules, and deduces from this fact that the former is not computationally analyzable. This thesis is rejected by the massive interpretation of modularism, according to which intelligence can be explained by the cooperation work of specialized modules. I claim that the opposition arises from the particular conception of the nature and the format of datas syntactically elaborated by modules, and I agree with the massive account that informations are computed at a sub-symbolic level; however I don’t believe that this establishes the worthlessness of a functionalist account of cognitive architectures, and I guess that its role is for some aspects necessary and cannot be renounced. Modularismo classico e massivo Nel suo libro The modularity of mind Jerry Fodor argomenta a favore di una visione modulare della mente, in cui distinte capacità cognitive sono implementate in differenti moduli mentali, caratterizzati da precise proprietà: funzionano in modo automatico e veloce, sono danneggiabili selettivamente, ma soprattutto trattano soltanto informazioni altamente specifiche presenti al proprio interno (impermeabilità cognitiva) e non possono accedere alle informazioni intermedie nel processo di elaborazione di altri moduli, ma solo a quelle di output (accessibilità limitata). Queste caratteristiche sono una conseguenza diretta del modo in cui i moduli sono concepiti, e cioè come meccanismi di elaborazione di informazione puramente sintattica, tarati quindi sul particolare formato dei propri dati e non sul loro contenuto. Impostando in questa maniera il concetto di modularità, rimangono al di fuori della spiegazione di Fodor stati mentali complessi (come, per esempio, credenze e desideri) che non possono essere ricondotti facilmente ad una singola funzione mentale, ma che sono invece emergenti, attribuibili olisticamente alla mente nella sua interezza e non a un suo sottosistema: in opposizione alle capacità implementate localmente dai moduli mentali, Fodor tratta questi stati come globali. La sensibilità di essi al contenuto delle rappresentazioni, oltre che alla forma, lo spinge a vederli come non implementabili all’interno di un modulo, e quindi non trattabili da un punto di vista computazionale; sono invece riportati a una cognizione centrale isotropica (ogni stato di questo tipo può essere collegato a ogni altro dello stessogenere) e quineana (l’attribuzione di uno stato dipende dalle sue relazioni con tutte le altre credenze del sistema). L’analisi della nozione di modularità da parte di Fodor confluisce così in una forte opposizione tra la cognizione centrale e i moduli periferici; come conseguenza, la massima aspettativa per una teoria computazionale della mente è quella di riuscire a spiegare il funzionamento dei moduli periferici, mentre la possibilità di una definizione globale della mente in termini computazionali è negata. Questa prospettiva è invece recuperata in un’interpretazione della teoria modulare venuta recentemente ad affermarsi e legata alla tesi della modularità massiva (Pinker 1997; Sperber 1994), in base alla quale la mente sarebbe composta di moduli distinti, deputati ciascuno a trattare problemi di un dominio specifico, mentre le proprietà della cognizione centrale sarebbero da ricondursi all’interazione tra i moduli. Seguendo la tesi della modularità massiva non esiste alcuna obiezione di principio a una riduzione completa della mente a un’architettura cognitiva computazionalmente trattabile; certamente le capacità cognitive centrali sono distinte da un punto di vista funzionale rispetto a quelle sensorie e motorie, ma non lo sono invece moduli che le implementano al livello dell’architettura neurale.1 La differenza tra la cognizione centrale e i moduli periferici viene invece spiegata con una maggiore o minore interazione tra i diversi moduli mentali, che possono replicare le proprietà della cognizione centrale soltanto grazie una fitta collaborazione. Differenti livelli di rappresentazione delle dinamiche dell’informazione nella cognizione Le differenti implicazioni di questi due approcci modulari della mente originano da una divergenza nel concepire la natura dei dati codificati ed elaborati in un modulo mentale, 1 Il modello di riferimento è ovviamente quello connessionista delle reti neurali. dalla quale originano i malintesi che hanno alimentato la polemica tra Fodor e i sostenitori della teoria modulare massiva (Fodor 2000; Pinker 2005). Entrambe le interpretazioni del modularismo sostengono che le informazioni sono elaborate nei moduli da un punto di vista puramente sintattico, secondo processi perfettamente replicabili da una macchina di Turing. Per Fodor e per i sostenitori della teoria modulare classica della mente, tuttavia, i dati da elaborare ricalcano le entità teoriche della psicologia del senso comune e sono codificati in un linguaggio interno (il mentalese) simile ad un linguaggio naturale, cosicché la base di conoscenze a fondamento dell’elaborazione dei moduli può essere ricondotta effettivamente allo schema di una teoria scientifica, e il funzionamento dei moduli ricalca in senso forte con un processo logico-deduttivo di calcolo. Se un processo del genere è ancora controllabile quando ha natura locale (quando i dati si riferiscono, per esempio, all’elaborazione sintattica del linguaggio, o alla visione), deflagra invece quando viene a riferirsi alla cognizione centrale, che viene così giudicata non analizzabile da un punto di vista computazionale. Secondo i teorici della modularità massiva, al contrario, le informazioni sono presenti nei moduli in un formato subsimbolico (Smolensky, 1988). Su questo livello si giustifica la possibilità dei moduli di interagire strettamente tra loro: sebbene essi trattino forme di informazioni altamente specifiche, la codifica di queste nei circuiti neurali può dar vita a dei meccanismi di corrispondenza e di associazione che ignorano la specificità dei dati e del loro formato di rappresentazione. Tale orientamento mi sembra più coerente con i risultati delle neuroscienze, che parlano di un trattamento diffuso delle informazioni all’interno del cervello, legato all�����attività elettrica e chimica di circuiti corticali distribuiti. In questo quadro, la globalit�� di stati mentali complessi è caratterizzata da un’attività neuronale ampia e diffusa a numerose zone del cervello. Ritengo che sotto questo punto di vista, la tesi della modularità massiva sia più credibile: essa non commette l’errore, al quale va incontro invece la visione di Fodor, di confondere la rappresentazione simbolica dei dati con l’elaborazione sintattica da parte di una macchina di Turing dei dati stessi. Il problema è che Fodor ritiene di dover ritrovare nell’architettura cognitiva un equivalente implementato delle entità teoriche che caratterizzano la descrizione psicologica della mente a livello personale: di conseguenza stati mentali come le credenze devono essere rappresentate in modo esplicito in un modello computazionale della mente, con ovvie limitazioni sulle sue possibilità di rappresentazione dei dati. La questione del formato delle informazioni a livello di architetture cognitive non può essere invece affrontata da una prospettiva così astratta. Riportando una critica di Daniel Dennett (1987), «anche se considerazioni di costituzione o generazione ci portano a concludere che il cervello dev'essere organizzato in un modello modesto, esplicito di elementi essenziali dai quali viene generato “tutto il resto”, non è stato dato assolutamente alcun motivo in proposito per supporre che alcuni degli elementi essenziali debbano essere credenze, piuttosto che alcune strutture di dati neutrali finora anonime e impensate, aventi proprietà molto differenti». La questione del formato delle informazioni contenute nel cervello è contingente, e «sarebbe folle giudicare prematuramente questo problema empirico, insistendo sul fatto che le nostre rappresentazioni informative essenziali (quali che risultino essere) sono credenze par exellance». Sulla base dei dati scientifici oggi disponibili sembra al contrario più che plausibile l’ipotesi della presenza diffusa dei dati a livello neurale, alla quale deve quindi fare eco nelle architetture cognitive una rappresentazione in forma sub-simbolica. Autonomia di una descrizione funzionale della cognizione centrale e sua trattabilità computazionale È stato sostenuto che l’elaborazione di dati da parte di un modulo per mezzo di computazioni deve riguardare variabili intrinsecamente prive di un preciso contenuto semantico; bisogna riconoscere, tuttavia, che nella pratica lo scienziato cognitivo, quando va a descrivere lo stato e i risultati delle computazioni in un architettura cognitiva, interpreta continuamente tali variabili come indici di certi stati mentali complessi. Come si può sostenere una corrispondenza di questo genere? Credo che su questo Dennett individui ancora una volta il punto cruciale: il fatto è che «al fine di conservare effettivamente un'interpretazione intenzionale del loro operare, il teorico deve costantemente gettare uno sguardo al di fuori del sistema, per vedere che cosa produce di norma la configurazione degli stati che egli sta descrivendo, quali effetti hanno di norma sull'ambiente le reazioni del sistema, e quale giovamento deriva di norma all'intero sistema da questa attività» (Dennett, 1987, corsivo mio). Ritengo questa osservazione altamente significativa per almeno due motivi. In primo luogo, essa spiega per quale motivo le variabili elaborate “alla cieca” in un modulo secondo processi sintattici possano invece essere poi analizzate come se effettivamente veicolassero un contenuto specifico. Mostra infatti come, parlando delle dinamiche dell’informazione nei processi cognitivi, sia fondamentale tenere separati il livello dell’elaborazione effettiva dei dati, effettuata dall’architettura cognitiva, e quello dell’interpretazione dei dati stessi nei termini di una teoria psicologica significativa. L’errore di Fodor consiste proprio in questo: non effettuando una distinzione di questo genere, trova difficoltà a elaborare a livello delle architetture cognitive le credenze o gli altri stati complessi che caratterizzano la cognizione centrale. Eppure dedurre da questo fatto che questa non è trattabile in modo computazionale è semplicemente un non sequitur. In secondo luogo, essa sottolinea come anche un livello estremamente basso di descrizione del funzionamento di un modulo produca già una interpretazione delle sue funzioni, che in quanto tale si distingue dal puro processo fisico di elaborazione: quando diciamo che il modulo della visione vede una mela perché il suo sistema percettivo di analisi dei bordi distingue una sagoma rossa da un contorno più chiaro, non stiamo più parlando del comportamento del modulo stesso. Parlare di dati mettendoli in relazione a stimoli esterni significa quindi già rinunciare a una caratterizzazione puramente sintattica delle informazioni, e fornire un’interpretazione a un particolare insieme di occorrenze fisiche di simboli che sono realizzate in un’architettura cognitiva. Queste considerazioni permettono di ritagliare uno spazio autonomo per uno studio puramente funzionale delle capacità cognitive, condotto eventualmente secondo il linguaggio della psicologia personale. Su questo livello i dati potranno anche essere eventualmente rappresentati in forma di predicati linguistici, e la loro elaborazione potrà essere costituita anche da un calcolo logico-deduttivo; credo che la ricerca debba esplorare questa possibilità, e che da questo punto di vista un formalismo adeguato a tradurre in un sistema di logica l’architettura mentale di soggetti epistemici complessi possa essere quello costituito dalle Logiche Multi Contesto (Ghidini & Giunchiglia, 2001; Giunchiglia & Serafini, 1994).2 In questa analisi delle dinamiche cognitive, tuttavia, sarà bene non confondere tra loro l’implementazione dei processi cognitivi in un architettura mentale e l’interpretazione del suo funzionamento. Si eviterà così quel pericoloso atteggiamento realista che porta a inquinare la specificazione di un meccanismo capace di replicare alcune capacit�� cognitive con la ricerca di improbabili correlati per le nostre nozioni teoriche sulla mente. Ringraziamenti Desidero ringraziare Carlo Penco dell’Università di Genova per la disponibilità e l’aiuto che mi ha fornito in questo anno di dottorato, durante il quale ho approfondito gli argomenti legati al lavoro qui presentato. Riferimenti bibliografici Dennett, D. C. (1987). The intentional stance. Cambridge, MA: MIT Press. Fodor, J. (1983). The modularity of mind. Cambridge, MA: MIT Press. 2 Se un sistema formale tradizionalmente inteso può essere descritto come una struttura (L, AX, D), formata da un linguaggio, L, un insieme di Assiomi, AX, e un insieme di regole di derivazione, D, un sistema MCL può essere visto come una generalizzazione di questa definizione, che unisce n sistemi formali in un’unica struttura ({L}i, {AX}i, D0 + {D}i), con i compreso tra 1 e n. All’interno di un sistema MCL, quindi, convivono più teorie, identificata ciascuna dal proprio linguaggio, da una base assiomatica specifica e dalle proprie regole di derivazione. Apposite regole ponte (contenute in D0) servono invece a connettere tra loro teorie differenti, permettendo di collegare la verità di formule appartenenti a linguaggi diversi. Il formalismo di MCL può essere particolarmente utile a implementare la struttura di un architettura modulare massiva, in cui ciascuna singola teoria svolge il lavoro di un modulo differente. Da una parte, infatti, ciascun modulo può essere formalizzato con un linguaggio proprio, specifico dei compiti cognitivi che il modulo stesso è deputato a risolvere, ottenendo così una traduzione all’interno della logica dei principi di accessibilità limitata e impenetrabilità cognitiva. Dall’altra la presenza delle regole ponte permette di fare interagire e integrare tra loro le sue componenti di un’architettura modulare.

Marco Fenici (mfenici@hotmail.com) Dipartimento di Filosofia Via Balbi 4, 16126, Genova

 Fodor, J. (2000). The mind doesn’t work that way. The Scope and Limits of Computational Psychology. Cambridge, MA: MIT Press. Pinker, S. (1997). How the mind works, New York: Norton. Pinker, S. (2005). So how does the mind work?. Mind and Language, 20, 1-24. Smolensky, P. (1988). On the proper treatment of connectionism. Behavioral and Brain Sciences, 11, 1-74. Sperber, D. (1994). The modularity of thought and the epidemiology of representations. In L. A. Hirschfeld & S. A. Gelman (a cura di) Mapping the mind, Cambridge, United Kingdom: Cambridge University Press. Ghidini, C., & Giunchiglia, F. (2001). Local model semantics, or contextual reasoning = locality + compatibility. Artificial Intelligence, 127, 221-259. Giunchiglia, F., & Serafini, L. (1994). Multilanguage hierarchical logics (or: how we can do without modal logics). Artificial intelligence, 65, 29-70  

 

 

 

pag modificata il 9 agosto 2010