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fRMI e teoria specchio 70% di errore di misurazione.

mappa-di-internetNel precedente articolo: “validità dell’indagine dei neuroni specchio sugli uomini con fMRI” ho esposto in modo sintetico e divulgativo, quanto sono approssimativi i criteri con cui viene interpretata “l’attività nucleare degli atomi” in fRMI per dedurre l’attività di “specifiche aree” del cervello.

Proprio ieri leggevo un altra evidenza su questo: il 12 febbraio 2016,   Anders Eklund, Thomas E. Nichols, and Hans Knutsson hanno pubblicato, su Prooceedings of the National Academy of Sciences of the U.S. of America, una rivista scientifica autorevole, un loro lavoro su circa 500 soggetti. Tale lavoro scientifico di validazione sul procedimento statistico in fRMI,  ha controllato la validità di principali software di fRMI per produrre le immagini su monitor che interpreterebbero i segnali in uscita al fine di “mappare” l’attività cerebrale.

Tale studio dichiara che l’errore statistico che dovrebbe essere non superiore al 5%, in realtà si aggira attorno al 70%, quindi un qualche processo causale viene prodotto dal software stesso, che va a interpretare in modo errato (ridondante), ciò che viene rilevato come “attività cerebrale”, anche quando non c’è.

Questo significa che la costruzione della “teoria specchio” (cosi detti neuroni mirror) che si basa sulle “evidenze” delle fRMI sugli uomini, ha dubbio fondamento.

Del resto è noto che l’approccio riduzionistico, che si è sempre rivelato deficitario per lo studio del cervello, non spiega in modo corretto il funzionamento cerebrale.

Le evidenze scientifiche attuali, non manipolate, portano a dedurre che si il cervello abbia un funzionamento basato sulla multifunzionalità neuronale, quindi esisterebbero ben poche aree o neuroni specifici ( i neuroni mirror non sarebbero altro che neuroni polifunzionali come la maggior parte dei neuroni ) organizzati in circuiti neuronali, la specificità dell’ideazione cerebrale (pensiero, emozioni, affetti, comportamenti) deriva dal percorso fatto dallo “stimolo elettrico del cervello” (potenziale d’azione) e non dalla “caratteristica istologica” o neuronale del singolo neurone (funzione della cellula).

La “teoria specchio”, cerca di validare le registrazioni fatte sui macachi (di dubbia validità scientifica a causa della loro invasività) attraverso fRMI sugli uomini, ma  i software di queste “immagini” producono errori del 70%, davvero un’enormità, da ciò ne deriva che non può essere valida, per esempio non può essere inferito che i neuroni motori siano: neuroni empatici, e che l’empatia sia specifica di specifiche cellule motorie, tutto questo ha un suo margine di assurdità davvero elevato.

Concludendo se la “teoria specchio” si basa sugli studi con brain neuroimmaging, e i software delle varie fRMI si sono mostrati inaffidabili, la “teoria specchio” non ha per il momento alcun fondamento scientifico, almeno dal punto di vista della psicologia scientifica, per le altre discipline: pedagogia, filosofia, biologia, etologia, medicina, che sono gli attuali ricercatori (le lauree degli attuali ricercatori) facenti parte dell’equipe sulla ricerca dei neuroni specchio, i fondamenti possono anche esserci, ma questo potrebbe essere un esempio di interdisciplinarità non corretta in quanto è assente la necessità di avere dal nucleo forte di pertinenza all’oggetto di studio su cui si fa ricerca, cioè ci dovrebbe essere un numero congruo di psicologi nell’equipe, ma formati da psicologi e non da non psicologi (vedi problema delle LM i cui docenti con laure in psicologia sono il 20%).

 

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La teoria psicologica attorno i neuroni specchio, decadentismo culturale?

d810c92555.pngAttorno al fenomeno dei neuroni polifunzionali, chiamato “neuroni specchio” e evidenziato nel setting sperimentale di ricerca sui macachi, da Giacomo Rizzolati, alla fine degli anni ’80, si sono aggregati diversi studiosi del comportamento: pedagogisti, biologi, medici, ma pochissimi psicologi, i quali hanno portato contributi teorici a sostegno della “teoria specchio”.

 

Andrebbe qui fatta una considerazione sull’adeguatezza del termine “specchio” per descrivere il fenomeno della polifunzionalità neuronale; che a propongo in termini metaforici: per esempio la pelle è un tessuto “polifunzionale”, ha funzione di protezione, di omeostasi, di sensibilità nervosa: tattile, dolorifica, termica…, eccetera.

Immaginiamo che dei ricercatori abbiano notato che la pelle con l’esposizione al sole cambia colore e da quel momento abbiano continuato ad osservare solo quel fenomeno, e abbiano denominato la loro scoperta: la scoperta del “tessuto colore”, poi immaginiamo che abbiano molto pubblicizzato la loro scoperta e che tutti abbiano iniziato a parlare del “tessuto colore”. Poi immaginiamo che a livello accademico si sia formato un gruppo di studio: gli antropologi hanno portato le loro teorie etniche, i biologi le loro teorie genetiche, i sociologi le loro teorie sociologiche sull’integrazione , e insieme abbiano creato un’equipe di fama mondiale che studia il “tessuto colore”, con pubblicazioni su pubblicazioni sull’evidenza scientifica che la pelle cambia colore a secondo se viene esposta o meno alla luce solare.

In questo caso i dermatologi verrebbero espropriati della loro autorevolezza scientifica, in campo dermatologico, esattamente come lo sono stati gli psicologi, dalla realtà parmense, dove per esempio la LM creata attorno alla “teoria specchio” ha solo il 20% di docenti con laurea in psicologia.

Per tornare alla metafora del “tessuto colore” si creerebbe un corso di laurea centrato sulla scoperta del tessuto colore, con nuovi laureati in dermatologia convinti che la pelle abbia come unica caratteristica quella di cambiare colore, le conoscenze dei vecchi dermatologi verrebbero etichettate come superate e vecchie, e le nuove semplificazioni sulla pelle come “tessuto colore” verrebbero considerate come nuova scoperta scientifica che modifica radicalmente il precedente modello dermatologico polifunzionale.

Non sarebbe questa una forma di decadentismo culturale? Come è stato il manierismo rinascimentale, il neoclassicismo veneto, il periodo rococò per fare degli esempi estetici.

 

Quindi che dai neuroni specchio, si sia approdati a teorie sull’empatia, sembra sia più risonante con il termine “specchio” piuttosto che con il fenomeno sul polifunzionalismo neuronale osservato: dell’elettrodo conficcato nel cervello del macaco, che suona sia che il macaco mangi sia che il macaco osservi mangiare, da ciò si è arrivati: a pensare che anche affetti e emozioni siano di origine motoria, perché per esempio l’espressione emotiva del viso (Eckman) richiede la contrazione o meno di alcuni muscoli facciali, ma tutto ciò è eccessivo, tanto più se si tentano dei collegamenti con soggetti autistici che hanno una espressività mimica minore, basta pensare agli studi fatti sui soggetti che hanno una cultura in cui le emozioni vengono più raramente espresse con il viso (cinesi) , i soggetti affermavano di avere una ricca vita emotiva, questo fa capire la paradossalità del tentativo riduzionista dei fautori della “teoria specchio”.

Concludendo: il fenomeno accademico “dei neuroni specchio” secondo cui tutto: emozioni, affetti, cognizioni, comportamenti … girerebbe attorno al “sistema motorio” è a mio parere eccessivo e senza fondamento, esclude parti importanti dell’attività psichica come: simbolismo, attività onirica, rappresentazione cognitiva basata su funzioni mentali limitate (memoria, attenzione..) , astrazione, riflessione etica, mentalizzazione…

Il rischio è che venga esaltata e accreditata e diventi di moda, una qualche forma di “psicoterapia motoria” che annulla la capacità introspettiva, simbolica, critica, e di astrazione dell’individuo, infantilizzando l’adulto, infantilizzazione che è ciò che vorrebbero i sostenitori dello spostamento di tutto il potere sociale sull’attuale sistema di gestione economica a livello internazionale (globalizzazione).

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Validità dell’indagine dei neuroni specchio sugli uomini con fMRI.

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Spesso i teorici dei neuroni specchio utilizzano per validare la loro teoria, studi con risonanza magnetico funzionale fMRI (Functional Magnetic Resonance Imaging), tale sistema viene utilizzato con il tentativo di rafforzare e avvalorare la teoria dei neuroni specchio dopo le note sperimentazioni sui macachi.

In sintesi l’fMRI consiste nel sottoporre la persona a un forte campo magnetico statico, che causa l’allineamento degli spin dei protoni (cariche elettriche degli atomi), i quali si allineano parallelamente o antiparallelamente, questo perché gli spin protonici iniziano a ruotare sul proprio asse. Fornendo energia a livello atomico alla “stessa frequenza” (risonanza) otteniamo che dopo l’impulso dato, i protoni tenderanno a tornare allo stato iniziale (questa variazione è ciò che si rileva e interpreta).

Tramite una bobina si misura la magnetizzazione del piano perpendicolare, al campo magnetico principale, relativa un solo tipo di atomo, per esempio l’ossigeno, (ma si può fare anche per altri atomi, idrogeno, sodio, fosforo) poi tramite un software si traduce il segnale ricevuto in immagini che sono il risultato di “una media del fenomeno misurata in “x” tempo”.

Nel caso la misurazione riguardasse l’ossigeno avremmo come immagine visiva sul monitor, l’aumento o la diminuzione del flusso del sangue ossigenato, anche di piccoli vasi sanguinei (capillari) per il prevalere dell’atomo di ossigeno legato all’emoglobina (più ossigeno più attività rilevata), ma è chiaro che l’ossigeno è un componente molecolare anche di altri tessuti diversi dal sangue.

L’assunto è che dove viene richiamato più ossigeno dev’esserci una maggiore attività neuronale, quindi dove c’è più flusso sanguineo c’è più attività “elettro-neuronale”(potenziale d’azione), quindi più attività cognitiva specifica, assunto discutibile.

In realtà il sangue ossigenato, viene richiamato anche per altri motivi, infiammazione, riparazione dei tessuti, crescita neuronale e in tutti i processi metabolici in genere (sintesi proteica, formazione o liberazione dell’energia cellulare) quindi non solo in caso di attivazione neuronale (potenziale d’azione).

Anche si rilevasse la “magnetizzazione” di altri atomi, sempre di misurazione indiretta si tratta, quindi questo non ci dice nulla della specifica attività del neurone: depolarizzazione? Metabolismo? Plasticità neuronale?

E poi a quale fine? Quello di inventare una mappa di funzioni cerebrali per tornare a una sorta di frenologia ottocentesca? E’ questo in modo da far credere di aver dimostrato la localizzazione dei neuroni specchio, e la loro funzione specifica magari una sorta di attivazione dell’empatia in area F5?

Ma com’è possibile tutto questo se ad oggi il modello teorico più sostenibile, di interpretazione del funzionamento neurale, è quello dei “circuiti/reti neurali”?

Perché tornare ancora alla vecchia idea delle aree specifiche per determinate specifiche funzioni, solo per affermare la teoria dei neuroni specchio in modo frenologico?

Molto più semplicemente, il fenomeno osservato chiamato “neuroni specchioriguarda una già nota “polifunzionalità” neuronale, che di per sé spiega come non si possa intendere il funzionamento del cervello in termini di “specifiche aree= specifiche funzioni”, ma solo in termini di “circuiti neuronali” attivanti o disattivanti il propagarsi dell’impulso neuronale, senza alcuna specificità anatomica o biochimica, per quanto riguarda la correlazione ideativo-funzionale , in altre parole né il “il pensiero” né l’attività emotiva, né l’attività affettiva (empatia), hanno una qualche attivazione di una qualche specifica area.

Diverso è il funzionamento neuro-vegetativo, ormonale, immunologico, che non va confuso con il funzionamento ideico-affettivo-emotivo, pur avendo indubbie influenze reciproche.

Inoltre non va sottovalutato che la rilevazione dei segnali fMRI, non è accurata quanto dovrebbe per misurare dei tempi di variazione in millesimi di nanosecondi, che sono i tempi di trasmissione dell’impulso nervoso.

Sono stati dimostrati anche non validi (falsificabilità) e non attendibili, la maggior parte dei modelli teorici su cui si basa la risonanza magnetica funzionale, a causa della sua enorme imprecisione.

Quindi se già il metodo utilizzato sui macachi da: Rizzolati, Gallese, Fogassi e il gruppo di ricercatori pro “neuroni specchio” di Parma, ha dubbia scientificità a causa della sua eccessiva invasività e imprecisione, come è possibile dimostrare la validità degli assunti circa la teoria dei neuroni specchio, attraverso la fRMI sugli uomini, tecnica d’indagine non adeguata per rilevare l’attività neuronale di specifiche funzioni.

L’errore epistemico di fondo è sempre lo stesso: costruire o validare teorie in base allo strumento utilizzato, la fRMI mi rileva solo aree a maggiore concentrazione di un atomo (spin protonici), ma non rileva l’attivazione prodotta dai collegamenti dei neuroni fra loro (potenziali d’azione).

Metaforicamente è come se avessi uno strumento che mi fa una foto satellitare di laghi e mari sulla crosta terrestre, e questo mi portasse a una teoria di “autoproduzione locale di acqua” per spiegarne la formazione, ignorando, i corsi d’acqua che li collegano, gli eventi climatici (pioggia), la forza di gravità…, solo perché la foto satellitare non li può rilevare.

L’fRMI resta di indubbia validità per rilevare l’estensione o meno di alcuni gravi processi neuropatologici, per esempio l’estensione di una emorragia, l’estensione di una necrosi dovuta all’occlusione di un vaso, il riassorbimento o meno di liquidi dovuti a processi infiammatori e controllarne il processo di guarigione.

Concludendo la pretesa di poter validare la teoria dei neuroni specchio attraverso studi condotti sugli uomini con risonanza magnetica è senza dubbio senza fondamento.

P.s. L’obiettivo di questo blog è di tipo divulgativo pertanto i termini scientifici non sempre sono appropriati in quanto adattati alla comprensibilità di tutti (spero).

8 luglio 2016 fMRI, 15 anni di ricerche sul cervello da rifare
Un errore nei software usati per gli studi di risonanza magnetica funzionale potrebbe invalidare qualcosa come 40.000 articoli scientifici che si basano su questa tecnica di imaging.

http://www.focus.it/comportamento/psicologia/15-anni-di-ricerche-sul-cervello-da-rifare

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Regolamentazioni europee e democrazie nazionali

Search real-estate with help of the catalogue. Shallow DOF.

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Dal punto di vista psicosociale, possiamo distinguere l’organizzazione sociale essenzialmente in due gruppi:

  • una organizzazione sociale basata su regolamenti svincolati dalla necessità di essere coerenti con principi etici e ideali collettivi, e
  • una organizzazione sociale basata su principi etici, e ideali collettivi condivisi (uguaglianza, solidarietà, libertà) formalizzati in principi costitutivi (es Costituzione italiana) da cui derivano legislazioni e regolamenti coerenti ai principi costitutivi.

Le due modalità sono in un certo senso concorrenti e nella realtà si trovano comportamenti sociali che affermano la “modalità regolamentativa”, dichiarando intenti pragmatici che il più delle volte portano a forme governativo-amministrative autocentrate che tolgono potere decisionale alla collettività, o comportamenti sociali che affermano la “modalità etica”, basata su principi di tutela del potere decisionale della collettività.

La propensione per la modalità regolamentativa o etica è insita nella cultura e nella personalità del soggetto, il quale afferma la propria visione aggregandosi ad altre persone simili a lui o creando sistemi politici che predispongono questo tipo di aggregazione.

Nella realtà sociale attuale è evidente il prevalere della modalità regolamentativa, la quale non si è imposta con velocità e tramite forme di violenza militare autoritaristica (dittatura) ma si è insinuata nella cultura dei singoli; a mio parere molto lo possiamo attribuire al web, il web non avendo una storia propria, ha attivato al suo interno una modalità regolamentativa per gestire situazioni che via via si andavano a creare (regolamenti dei siti), quindi non di certo con intenzioni autoritaristiche, l’utilizzo sempre più frequente del web ha fatto si che le persone acquisissero una “modalità regolamentativa” nella loro personalità, in particolare i cosi detti “nativi digitali”.

Tale “cultura regolamentativa” si è estesa anche politicamente, in particolare dove non era storicamente presente una cultura etica (etica basata sui principi storici di libertà, uguaglianza, solidarietà) quindi a livello della neonata Comunità Europea. Oggi in nome di una “cultura regolamentativa europea” gli stati membri sono obbligati a ratificare regolamenti che vanno in evidente contrasto con le proprie legislazioni di natura etica.

Considerando, il principio di aggregazione fra individui con personalità simile, questi gruppi di persone con “cultura regolamentativa” stanno ottenendo maggiore potere sociale, e il fenomeno di trasformazione dell’organizzazione sociale da “etico” a “regolamentativo” sta diventando sempre più imponente, favorito anche da una certa propensione giovanilistica in politica.

Tanto è vero che è in atto una modifica costituzionale da parte di un Governo privo di vere e reali legittimazioni democratiche.

Infatti per propria natura la “modalità regolamentativa” non rispetta la modalità decisionale collettiva, né la coerenza di leggi con principi etici di natura politica (Costituzione italiana).

Tutto questo è facilmente costatabile ponendo attenzione all’uso del linguaggio attuale, i termini come “principi etici”, “coerenza legislativa”, “potere decisionale collettivo”, “diritti della persona”, stanno per essere sostituiti da “regolamenti”, “ratificazione di regolamenti ”, “multe per inottemperanza ai regolamenti”, “espropri per inottemperanza al contratto (es banche)” , “obblighi per messe a norma regolamentate”, “certificazioni di messe a norma regolamentate”, “multe per assenza di adeguamento alla regolamentazione”.

A questo punto sarebbe ingenuo pensare di poter essere politicamente  inattivi,  per il solo fatto che “la modalità etica” esiste da 70 anni, continui ad esistere, in quanto storicamente è evidente che si possa passare da una modalità all’altra tranne nelle organizzazioni collettive che hanno impedito il capovolgimento dalla modalità etica a quella regolamentativa: U.S., Gran Bretagna, Islanda.

La “maschera” con cui tale modalità regolamentativa riesce ad insinuarsi ed a imporsi è quella del pragmatismo centrato sul presente.

Il pragmatismo centrato sul presente (qui ed ora)  ignora il processo di causalità e l’effetto diffusivo nel tempo su altri soggetti e realtà, in altre parole non ha etica, il “soggetto regolamentativo” è disinteressato al fatto che la sua decisione, anche se da effetti concreti in tempi brevi, possa ledere nel tempo  l’organizzazione e gli interessi di altri soggetti o altre organizzazioni (es biologica ambientale).

Il “soggetto regolamentativo”, ha prevalentemente una modalità pulsionale, e una personalità infantile,  è molto seduttivo, il suo bisogno di fondo è ottenere il piacere di una conquista, come il bambino che riesce ad imporsi sugli adulti manipolando regole che lui stesso inventa, il “soggetto etico” ha una personalità più adulta,  è  persuasivo, il suo bisogno di fondo è realizzarsi all’interno di una realizzazione collettiva.

Ora per esemplificare all’interno di uno stesso gruppo politico, giusto per non apparire ideologici, potremmo immaginare nel primo caso come “soggetto regolamentativo” Renzi e nel secondo caso “etico, persuasivo” Fassino/Bersani.

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Corteccia cerebrale – cito architettura – e la bufala dei neuroni specchio.

Come indicato nel precedente articolo la misura di un singolo neurone è talmente minimale da poter fare che è lecito ritenere dubbia una qualche possibilità di misurazione, inoltre il neurone è collegato con dendriti e assoni ad altri neuroni posti vicini o distanti, è infatti possibile trovare neuroni con assoni lunghi più di un metro, quindi non è possibile distinguere un’attività prossimale da un’attività distale.

Un ulteriore incongruenza epistemica, circa la misurabilità o meno di presunti neuroni specchio, riguarda la cito-architettura della corteccia cerebrale, a livello istologico si vedono delle stratificazioni i cui neuroni differiscono nella forma in modo evidente, e molto spesso in biologia, la forma cellulare è indice di differenziazione funzionale della cellula.

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Se pensiamo che l’ipotetica misurazione del “singolo” neurone, avviene su macachi mentre compiono delle azioni, la prima cosa che viene spontaneo pensare è: a quale profondità andrebbe l’elettrodo? Com’ è possibile controllare la profondità dell’elettrodo? Più o meno quale tipo di stratificazione si andrebbe a misurare? Il punto di contatto fra elettrodo e tessuto cerebrale di quanto si muove, rispetto la collocazione iniziale, in un macaco che sta compiendo un azione? E di quanto si muove rispetto l’attività di perfusione sanguinea, omeostatica, metabolica o quant’altro?

Chiaro non è credibile che si possa misurare l’attività di singoli neuroni e tanto meno che siano specifici, probabilmente l’elettrodo misura l’attività di un insieme di fenomeni fra cui il potenziale di azione di un gruppo di neuroni, attività che può partire da un neurone ma anche dal fatto che il neurone viene attivato dalla sinapsi di un altri neuroni, che possono trovarsi vicino o molto distanti, dall’elettrodo conficcato nel cervello del macaco.

Inoltre non possiamo immaginare il punto di contatto fra tessuto cerebrale ed elettrodo come se fosse immobile e fisso solo perché al macaco è stata fissata la testa in modo che non possa muoverla, la perfusione sanguinea, l’attività delle cellule gliali, il mantenimento dell’omeostasi della parte liquida (più del 85% del cervello è acqua) e altri meccanismi biochimici molto complessi, danno certamente luogo a dislocazioni del punto di contatto elettrodo-tessuto cerebrale, anche per il solo fatto che l’elettrodo ha una consistenza più rigida rispetto la consistenza molliccia del cervello.

Allora cosa sarebbe questa rilevazione di attività elettrica sia che la scimmia mangi una nocciolina sia che la veda mangiare da un’altra scimmia?

Al momento possiamo trovare una spiegazione dalla fMRI, in quanto sembra possibile rilevare, in modo non invasivo, l’aumento o la diminuzione “dell’ attività metabolica” nell’encefalo, attraverso la risonanza magnetica funzionale, questo ha permesso di costatare che la maggior parte dei neuroni è indubbiamente polifunzionale, ovvero gli stessi neuroni si attivano per formare circuiti diversi nel momento in cui il cervello svolge funzioni e coscienza di ideazione diverse.

Questo significa che il contenuto ideativo viene reso cosciente, o meno, nel momento in cui c’è una attivazione neuronale, non significa necessariamente che ideazione e attivazione di gruppi neuronali corrispondano, ovvero che l’intangibilità della mente sia sostenuta esclusivamente da processi neuro fisiologici, chi afferma questo è ancora nel campo delle convinzioni personali e non nel capo del “scientificamente accertato”, ciò è stato reso evidente dalla misurazione dell’attività cerebrale in pazienti in stato di coma, registrazione che segnalavano la completa assenza di attività cerebrale ideativa durante il coma, confrontate con i ricordi del paziente uscito dal coma, hanno dimostrato che l’attività ideativa non cessa, semplicemente non è attività di cui il paziente è consapevole in uno stato di veglia e in grado di trasmettere tramite comunicazione verbale, il neurochirurgo Eben Alexander come paziente sperimentò egli stesso questa cosa, in quanto ebbe una encefalite virale che azzerò la sua attività cerebrale, ma poi uscito dal coma ricordò una massiccia attività ideativa avvenuta durante lo stato comatoso, in cui le registrazioni elettro-encefaliche corticali risultavano assenti.

Concludendo, l’esposizione dell’ipotesi dei neuroni specchio, assomiglia più a una sorta di riduzionismo ideologico, piuttosto che a una scoperta scientifica, a mio parere si tratta solo di riduzionismo ideologico cui hanno ricondotto con artificiosi intellettualismi tutta la questione inerente le emozioni, l’empatia e quant’altro. Per quanto riguarda la realtà che ho conosciuto mi ha fatto piacere costatare che in questa costruzione teorica a mio parere totalmente errata, non sono presenti attivamente degli psicologi, nel senso che la parte giustificatoria teorica inerente la psicologia è fatta da una docente pedagogista e non da una docente psicologa, la quale sostiene con indubbia auto-referenza, che l’interdisciplinarietà in psicologia è una ricchezza.

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Misurare la lunghezza dell’acqua.

acquaOra per riuscire a spiegare, brevemente, concetti complessi in campo psicologico, come: attribuzione, effetto aspettativa, proiezione, epistemologia, deformazione concettuale, e via dicendo, conviene utilizzare il linguaggio metaforico.

Quindi riguardo i test psicologici o in senso più ampio la misurazione in campo psico-sperimentale, utilizzo la metafora della bacinella d’acqua.

Ora sarà a tutti chiaro che la psiche è per sua natura intangibile, non può essere percepita dai sensi: vista, udito, tatto, olfatto, gusto, e non può essere percepita nemmeno dalle attuali strumentazioni che rilevano: spostamento di elettroni, attività metabolica, densità della materia, le dinamiche psichiche possono solo essere inferite, con migliore o peggiore approssimazione, a secondo della persona che le inferisce.

Premesso questo chiediamoci cosa fa un test psicologico?

imagesNel tentativo di misurare la lunghezza dell’acqua (la psiche) , costruisce una bacinella (il test).

Nella bacinella si mette l’acqua (reattività agli item del test) poi si misura la lunghezza dell’acqua (numero di item), la larghezza dell’acqua (possibilità di risposta per ogni item) moltiplicato per la profondità dell’acqua (punteggio totale). Una volta ottenuto il volume totale si fa diagnosi (per esempio: demenza gravissima, grave, lieve, ancora no demenza, o quoziente intellettivo: deficitario, nella norma, superiore alla norma).

In altre parole, fare diagnosi con un test, è come pensare di misurare la lunghezza dell’acqua, che di per s’è non ha forma, misurando la bacinella, ma credendo di misurare le dimensioni dell’acqua.

Poi invece dell’acqua mettiamo il sale, e misuriamo il volume del sale, alla fine abbiamo lo stesso risultato del volume dell’acqua.

Dal punto di vista epistemico significa che non abbiamo misurato l’acqua (la psiche) ma il volume del contenitore (quanto può contenere la bacinella), ma subito dopo arriva la pubblicazione degli amici dell’ideatore del test, di solito per motivi economici, che dicono di aver misurato la lunghezza dell’acqua, per tantissime volte e di averla trovata sempre della stessa lunghezza (validità del costrutto) quindi smentiscono il tentativo di falsificazione popperiana.

In altre parole dal punto di vista epistemico il falsificazionismo popperiano ci chiede di dimostrare l’assurdità del costrutto con dati reali senza porci delle domande sulla sensatezza del costrutto, ma che senso ha tutto questo? Non ha senso ma queste sono le regole della ricerca cosi detta scientifica.

Dopo che il signor x ha ricevuto il suo punteggio al test che tutti dicono essere sicuro e scientifico (attribuzione) inizia a credere di essere come il test afferma: che lui è (identificazione) e al test successivo riporta un risultato uguale o peggiore (si adegua all’aspettativa del contesto in cui fa il test).

Ma ora chiediamoci come nasce un test? Di solito nasce per caso, una persona, convinta di capire la psicologia, sceglie arbitrariamente delle domande, che in realtà dicono più di lui, cioè dell’ideatore del test (proiezione) piuttosto che della cosa che egli afferma di voler misurare (la psiche di un soggetto). Nel tempo per motivi contingenti questo test ha un suo successo e nel tempo diventa popolare, sia per ragioni di marketing (viene venduto), sia per ragioni inerenti una costruzione di autorevolezza attorno a specifiche professionalità, in altre parole il test diviene di moda.

In realtà non è nella natura dell’acqua (psiche) avere una forma, ma è nella natura dell’acqua fermarsi quando trova del materiale più denso, la parete della bacinella dell’acqua, e adattarsi alla forma di quel materiale (cioè nella relazione con l’altro o con gli altri) .

Scambiare la forma della bacinella con la forma dell’acqua è un errore epistemico grezzo e grossolano, e determinare una qualche identificazione sulla base di questo non è professionalmente etico.

Ma quello che succede dopo è surreale, dopo aver misurato “l’adattabilità dell’acqua alla bacinella” (dopo aver fatto centinaia di test) con sofisticati sistemi statistici si fanno inferenze sull’andamento nella popolazione, di quella “determinata forma dell’acqua” , in altre parole si fanno inferenze sulla forma di qualcosa che non ha forma, con previsioni varie di spesa pubblica calcolati al millesimo.

Tutto questo, per quello che ho potuto costatare, avviene in presenza di bene pochi psicologi, ma di molti psico-qualcosa (psico-medici, psico-filosofi, psico-biologi…) all’interno di istituzioni pubbliche: ospedali, università, servizi sociali, e per quanto riguardano i Tribunali diciamo che: si, sono psicologi ma psicologi compiacenti con la linea peritale-psichiatrica.

 

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Il cognitivismo e il camaleontismo dei comportamentisti

KwaZulu_Dwarf_Chameleon_catch_30_10_2010Attualmente nei corsi di laurea troviamo sempre di più il termine “scienze cognitive” , se andiamo all’origine del termine “psicologia cognitiva” lo troviamo verso la metà del ‘900, utilizzato da un gruppo di psicologi americani per indicare lo studio dei processi cognitivi: percezione, memoria, ragionamento, linguaggio.

L’intento espresso ed esplicito degli psicologi cognitivi, è quello di affermare e dimostrare che possono essere studiati in modo scientifico e non invasivo, i processi psicologici pertanto non visibili, questo in antitesi con gli psicologi comportamentisti (Pavlov, Skinner..) che facendo largo uso di sperimentazioni animali, dicevano di essere i soli ad avere un metodo scientifico dimostrabile in quanto basato sull’osservazione tangibile.

A monte del comportamentismo c’era l’antagonismo verso la psicoanalisi, ovvero verso la pretesa degli psicoanalisti, di affermare la scientificità della loro teoria anche se l’inconscio non è dimostrabile.

Gli psicologi cognitivisti si pongono in modo critico verso la psicoanalisi, in quanto priva di costrutti scientificamente dimostrabili, e in modo opposto ai comportamentisti in quanto il modo di dedurre il funzionamento psichico studiando il comportamento degli animali in determinate condizioni sperimentali, quindi non naturali, ne altera il processo psichico e pertanto non lo rende più studiabile scientificamente.

I cognitivisti non riconoscono che lo studio sugli animali possa in qualche modo fornire informazioni utili per comprendere la psiche umana, sia perché gli animali sono psichicamente differenti sia per l’impossibilità di eliminare tutte le variabili intervenienti, che influiscono sui loro processi psichici, non ultima la presenza dell’uomo stesso che osserva il loro comportamento, oltre alla difficoltà di poter effettuare queste osservazioni nei loro habitat abituali.

In 40 anni il cognitivismo, produsse delle evidenze scientifiche indubitabili mettendo in crisi i costrutti sperimentali comportamentistici e psicoanalitici, producendo, anche se privo di consistenti finanziamenti per le sue ricerche, delle ottime evidenze che spiegano il funzionamento della psiche umana, e questo sulla base della passione per la verità di questi psicologi.

Alla fine del’900 la reputazione scientifica dei cognitivisti aumentò tantissimo, si divulgarono molto in fretta i loro costrutti e ovunque si utilizzava questo termine “cognitivo” “cognitivismo” per parlare di psicologia, ma dalla fine degli anni ’90 ad oggi abbiamo assistito ad un progressivo oscuramento dei modelli scientifici cognitivisti originali, e a una divulgazione imponente di modelli psicologici misti, al loro interno molto contradditori, etichettati come “cognitivismo” o “scienze cognitive”.

Ora se questo rimanesse nella cultura sociale e popolare, dove non è richiesto di mantenere una reputazione di “scientificità” o qualità della conoscenza, non avrei nulla da dire, ma molto spesso così non è.

Non sono andata ad indagare in tutti i corsi di laurea in psicologia presenti a livello internazionale, e nemmeno in tutti i corsi di laurea in psicologia italiani, ma ho avuto modo di frequentare un corso di laurea magistrale in Psicologia, in un ateneo dell’Emilia Romagna, come studente, ateneo che denominava il proprio corso di laurea “… scienze cognitive” e sono rimasta attonita.

Il primo aspetto che mi ha lasciato perplessa è stato che in nome di una presunta interdisciplinarietà, l’80% dei docenti non avesse una Laurea in Psicologia.

All’interno degli psicologi ancora non c’è chiarezza su dove inizino e terminino i confini per uno studio obiettivo della psiche, mi chiedo come i non psicologi, tanto più se privi di esperienza professionale come psicologi, possano avere maggiore o almeno uguale chiarezza su tale oggetto di studio “psiche umana” avendo loro studiato e approfondito altri oggetti di studio: biologia, filosofia, pedagogia, medicina….

Un altro aspetto che mi ha lasciato attonita, è stato il modo di affrontare, di alcuni docenti, l’argomento “psiche umana”, per esempio: partendo da esperienze e studi medici di evidente impostazione comportamentistica, denominandoli “scienze cognitive”, esponendoli in lezioni frontali, argomentando i loro studi comportamentistici con concetti di filosofia, storia dell’arte, psicologia del senso comune, e altre discipline umanistiche trattate a mio parere in modo superficiale e approssimativo, per fare un esempio il concetto di intersoggettività dal punto di vista filosofico non ha nulla a che vedere con il concetto di soggettività dal punto di vista del cognitivismo, e questi venivano concettualmente scambiati come se fossero la stessa cosa, oppure scambiare le “risposte movimento- nelle macchie nel test di Rorschach” come qualcosa che avesse attinenza con i “neuroni specchio”, che sono solo neuroni polifunzionali, si attivano in presenza di diversi processi cognitivi (la maggior parte dei neuroni è polifunzionale).

Concludendo, con questo sintetico e divulgativo articolo del mio blog, voglio iniziare ad evidenziare che escludere gli psicologi dalla docenza di un corso di laurea, o da altri settori di pertinenza psicologica, modificare linguisticamente i termini rendendo “cognitivistico” ciò che “cognitivo” non è, creare congruenze forzate snaturando l’organicità di altre discipline conoscitive, forzando dei miscugli “psico-filosofici” “psico-biologici” “psico-pedagogici” “psico-medici”, non è una buona strada per aumentare la reputazione di una realtà accademica, semmai è più probabile che si crei una sorta di “decadentismo accademico”, lo stesso che storicamente abbiamo visto nel periodo pre-fascista, periodo che ha visto in Italia, dopo un iniziale entusiasmo verso la psicologia, un moltiplicarsi di cattedre universitarie, e poi un progressivo annientamento della psicologia che come è noto per sua natura è una disciplina conoscitiva molto refrattaria a regimi dittatoriali.

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Neuroni specchio quando si scambiano le lucciole per lanterne.

sinapsiNell’ultimo manuale di neuroscienze, Eric Kandel, (neuro fisiologo, nobel nel 2000, per aver dimostrato la conservazione della memoria nei neuroni) sostiene che non bisogna intendere la mente come se fosse il risultato di un insieme di mappe specifiche, ma come se i processi cognitivi fossero il risultato di percorsi del “potenziale elettrico” che si propaga in più direzioni.

In altre parole, metaforicamente, per capire per quale motivo accendendo la luce in una stanza si vedono gli oggetti della stanza (espressione ideica della mente) non dobbiamo studiare le caratteristiche della lampadina (riduzionismo parmense “Rizzolati-Gallese-Fogassi” che si ostinano a misurare l’attività elettrica in un preciso punto del cervello dei macachi), ma capire qual è il percorso che fa la corrente elettrica (il potenziale d’azione) per arrivare alla lampadina ovvero: l’impianto elettrico con diversi interruttori (sinapsi), deviazioni(assoni-dendriti), con la differenza che la fonte del “potenziale neuronale” non è il contatore della luce ma un processo biochimico che si attiva contemporaneamente in più punti del cervello, piuttosto che in aree specifiche, per poi propagarsi con velocità anche impercettibile e non rilevabile dalle attuali strumentazioni.

E’ intuibile che “la biologia” non possa avere una modalità visivo-geografico, e che questo modo d’interpretare la realtà è tipico dell’essere umano, che costruisce cartine geografiche con confini nazionali, che però nella natura geologica della terra non esistono, quindi la mappatura del cervello è una proiezione del “metodo geografico” che il neurofisiologo parmense tenta di proiettare su un altra realtà fenomenica, per spiegare la natura del cervello, piuttosto che “osservare il fenomeno”, la differenza è abissale, in questo caso il cervello viene trasformato in base alle convinzioni del neurofisiologo, che tenta di costruire un “artefatto mentale coerente” tirando in ballo tutte le discipline (filosofia, arte, fisiologia..), piegandole al suo modo di immaginare il fenomeno, incorrendo in questo modo nelle fallacie (errori logici) più diffuse .

A mio parere la questione dei neuroni specchio è molto semplice, non è tanto “il singolo neurone” (il cui potenziale di azione ritengo non sia possibile misurare in modo isolato), che ha la caratteristica cellulare funzionale specifica “specchio”, quanto il fatto che sia esso stesso la convergenza di più vie neuronali. Questo metaforicamente è come se osservassimo di notte una rete stradale dall’alto, ci concentrassimo sugli incroci stradali, dove possono essere presenti contemporaneamente più veicoli con relativi fari accesi, e questo fa si che vedendolo dall’alto quel punto appaia più luminoso degli altri, non è una questione “istologica”, cioè: la caratteristica del singolo incrocio stradale, bensì una questione “propagazione del potenziale d’azione”, cioè i vari percorsi degli autoveicoli di cui si rilevano solo i fari accesi ma solo se contemporaneamente in quel punto ci sono più veicoli.

A questo punto viene spontaneo chiedersi il perché di tanta divulgazione di tanta approssimazione scientifica.

A mio parere come abbiamo il fenomeno “interesse economico” legato alla possibilità di convincere che determinati farmaci funzionino per una o l’altra cosa, il che significa “vendita dei farmaci” potremmo avere anche l’interesse economico del “ricercatore”, cioè: se dialetticamente riesce convincere tutto il mondo, dell’ importanza della sua posizione teorico-interpretativa, questo si traduce in “fondi per la ricerca”, nel caso parmense di “fondi per l’università”, ma allora, se così fosse, quale credito dovremmo dare agli attuali scienziati?

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Neuroni specchio, il mistero della misura del singolo neurone.

Ormai in tutte le salse i prof. Rizzolati , Prof. Gallese e prof. Fogassi, dell’Università di Parma, sostengono di aver misurato il singolo neurone: “La registrazione dell’attività corticale a livello del singolo neurone avveniva mentre l’animale poteva accedere a porzioni di cibo, permettendo così il monitoraggio di movimenti specifici”

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un nanometro è pari a un milionesimo di millimetro, di solito un neurone ha un corpo cellulare di circa 5-30 nanometri, non micrometri che sono 1000 nanometri, ma proprio nanometri, quindi non visibili ad occhio nudo, alcuni possono essere al massimo di 1 micrometro e in un mm ce ne sono 1000 di micrometri.

Ora questi emeriti scienziati ci dicono di aver misurato il singolo neurone, e dove? In una precisa area premotoria che si trova all’interno di un solco corticale (parte periferica del cervello), e hanno anche definito con precisione l’estensione della mitica area F5 dove sarebbero stati misurati i singoli neuroni a specchio.

Ora, se uno vuole beccare un preciso solco, della corteccia, chiaro deve togliere la calotta cranica, la quale non si svita come se fosse il coperchio della marmellata, devi togliere la cute, che di solito contiene parecchi germi, quindi come minimo uno deve usare anestetico locale, che certamente interferisce con l’attività dei neuroni, dell’antibiotico per evitare che una cavia da 5000 euro muoia subito, segare l’osso con una sega elettrica, bruciare i vasi che nel frattempo sono stati recisi, aspirare il sangue creando quindi ipoperfusione, quindi altro effetto sul sistema neuronale, togliere la membrana che ricopre la parte meningea, e la meninge stessa, o quanto meno forarla, e infilare un elettrodo che come minimo avrà un diametro di un millimetro, altrimenti si curva e va ad infilarsi nel posto sbagliato no? E in un filo di almeno un millimetro di diametro ci stanno centinaia di migliaia di neuroni, non meno di 1000, ma come si fa a dire che sono riusciti a misurare l’attività del singolo neurone?

Ma non è he per caso in questo modo non si misura tanto l’attivazione dell’ipotetico singolo neurone quanto l’effetto dell’adrenalina a mille assieme a quello delle endorfine a picco elevato, su tutto il cervello, causato dal tipo di manovra che lo sperimentatore fa sulla capoccia della povera scimmietta?

Questa è scienza?…. con quello che ci costa… e mi fermo qui.

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